VALLE SCURA E IL SUOAVANTI CLICK PICCOLO CANYON

2 giugno 2002.

Oggi, é il 2 giugno, l’anniversario della Repubblica Italiana. Tutta l’Italia festeggia questa ricorrenza. Mentre a Roma, per scaldare i cuori ci pensa la banda dei Carabinieri. Fra uno sventolio di bandiere seguono i reparti in armi. Scosciano gli applausi per i ragazzi dei vari reparti militari che sfilano davanti alle autorità sul palco d’onore, con al centro il presidente Ciampi. Noi, oggi, non siamo a Roma, ma sulle montagne del Trentino, dove nella Grande Guerra Mondiale, i nostri alpini combatterono e perino, per fare grande il nostro meraviglioso Paese.

Non l’avrebbe mai creduto il vecchio imperatore Francesco Giuseppe che un giorno un gruppo di escursionisti del CAI di Mantova, avrebbero scalato questo piccolo Canyon, qui in Valle Scura, non avrebbe neppure creduto neanche che un giorno i militari austriaci sarebbero venuti a Roma a suonare proprio la Marcia di Radetzky fra scrosci di applausi? La storia si ribalta, i vecchi nemici di un tempo ora vanno sottobraccio. “ E Berlusconi già sogna di far esibire alla sfilata dell’anno prossimo i ragazzi dell’Armata rossa, quelli che un tempo erano “ gli uomini venuti dal freddo”. Putin sembra già aver raccolto il messaggio e ha fatto arrivare le sue congratulazioni al Quirinale.

I tempi sono veramente cambiati e la storia si ribalta.

Le strade, le vallate, i sentieri, i borghi e le città del Trentino, ormai, dopo molti anni che pratichiamo l’escursionismo ci sono tutti familiari. Ma ogni volta che attraversiamo questi luoghi, ci sembra sempre la prima vota, perché scopriamo sempre qualche cosa di nuovo. Dopo cinque anni, il gruppo CAI di Mantova, ci ha riproposto il piccolo Canyon della Valle Scura, una località che fa parte dei monti della Valsugana: una valle bellissima, che é inserita nelle Alpi Dolomitiche, dai laghi di Levico a quello di Caldonazzo.

La giornata si presenta sotto i  migliori auspici, sebbene il sole e leggermente coperto da nuvole cirriformi, di quelle nuvole che in poco tempo si disperdono con il primo soffio di vento. Appena lasciato l’Autostrada del Brennero, sulla nostra destra, ci appare come d’incanto la bella città di Trento, la famosa Tridentum romana, che si adagia sulla sinistra del medio corso del fiume Adige.

Attraversiamo la città di Trento nella parte Nord, proprio seguendo la SS. che porta a Pergine e successivamente a Caldonazzo. Oh, si, Pergine: un tempo era un piccolo borgo barbicato sul pendio della montagna, che domina la città di Trento. Oggi, é un bel paese con tante villette linde e infiorate, immerse in un paesaggio bellissimo. Le strade, le case e il costone, sono ancora in ombra, perché il sole non é ancora spuntato da dietro la montagna della Valsugana. Di questo paese, ne abbiamo sentito molto parlare dal simpatico Signor Gino e di sua moglie: due coniugi che da alcuni anni incontriamo puntualmente nel mese di luglio nella meravigliosa spiaggia di Cattolica, di quella città fantastica, che ben a ragione le é stato attribuito il nome di “ Regina del Mare”, dove noi, puntualmente ogni anno, trascorriamo le nostre ferie marine. Ecco perché, il nome di Pergine, capita inatteso e provoca in noi, stupore e gioia.

Transitando ai margini della bellissima città di Trento, possiamo osservare il Castello del Buon Consiglio ( già residenza dei vescovi - principi e nei cui fossi furono giustiziati C. Battisti, F. Filzi, D. Chiesa, che appartenevano al redentismo, al quel movimento politico che mira a riunire al proprio Stato quelle zone che sono ritenute parte del suo territorio, ma che appartengono politicamente a un altro Stato: in particolare, il movimento italiano che, dopo il 186, sostenne la liberazione dei territori nazionali appartenenti all’Austria).

Prima di descrivere le nostre impressioni sul percorso, che più tardi ci porterà nel piccolo Canyon della Valle Scura, vogliamo tracciare a grande linee, come é nostro solito fare, per dare un po’ di colore alle città e ai borghi che visitiamo nelle nostre escursioni. Oggi ci soffermeremo brevemente sulla città di Trento. Come ci racconta la storia, Trento é  una città antica e nello stesso tempo moderna, fu fondata dai Galli o dai Goti e successivamente fu conquistata dai Romani nel 222 a. C. Dal 1810 al 1815 fece parte del regno d’Italia; ritornata all’Austria nel 1815, fu occupata dalle truppe italiane il 3 novembre 1918.

Oltre a questo episodio doloroso,   la città é famosa per il Concilio di Trento, concilio ecumenico convocato da Paolo III nel 1542, con il duplice intento di trovare una conciliazione con i protestanti e di riformare la vita stessa della Chiesa. Questo Concilio, ebbe un iter abbastanza movimentato , tra Trento e Bologna, concludendosi a Trento nel 1552 con il Papa Pio VI. La conclusione del Concilio, costituirono le direttive della Controriforma e le basi del Cattolicesimo fino ai nostri giorni.

Ritornando alla storia di questa italianissima città, essa ci dice, che la romanizzazione di Trento avvenne gradualmente e senza scosse eccessive, anche perché il sostrato gallico esistente acquisì facilmente le istanze provenienti dal mondo romano. Al tempo di Druso Clavio Nerone, che vinse i Reti nel 15 a.c. E fu detto Germanico per le vittorie riportate dal 12 in poi sulle popolazioni stanziate oltre il Reno e di Tiberio che fu imperatore romano, che successe ad Augusto il 14 a.c. E consolidò i confini al Reno ed in Oriente, la città di Trento, posta sull’importantissima Via Claudia, fatta costruire da Claudio Augusto, costituì un saldo presidio militare nelle campagne alpine contro le riottose popolazioni retiche.

Più tardi, con l’estensione della “ Civitas romana” alle popolazioni circonvicine ( I sec. d.C.) Si legittimava lo status delle gente trentine, che divenivano parte integrante della Decima Regio Italica, mentre i territori dell’attuale Provincia di Bolzano andavano a formare le province della Retia e del Noricum.

Il Cristianesimo si diffuse nel Trentino attorno al IV secolo d. C.

Dopo le alterne vicende della storia, giungiamo alla terza Guerra d’indipendenza che sembrano preludere all’imminente liberazione di Trento, ma l’armistizio del 1866 congelava sulle labbra di Giuseppe Garibaldi lo storico “ Obbedisco”!”.

Come abbiamo detto, il 3 novembre 1918 Trento fu definitivamente liberata dalle truppe italiane.

Dopo questa breve divagazione storica, ritorniamo al nostro itinerario escursionistico, sul sentiero Europa E5. Trattasi di un dei vari percorsi di ampio respiro che congiunge Costanza, nell’omonimo lago in Svizzera, a Venezia.

Da Levico Terme, a quota 506 metri, l’itinerario sale all’albergo Monte Revere, a 1255 m. Passando dapprima per l’albergo alla Vedova, e risalendo i fianchi del monte Pergola, a 1199 metri, lungo  il Kaiserjàgerweg ( antica strada militare austriaca). Dall’albergo monte Revere, che fu teatro nella Grande Guerra Mondiale, l’itinerario conduce a Luserna, 1339 metri di quota.

 La nostra comitiva non ha percorso l’antica strada militare austriaca, ma il sentiero nr. 133, il quale é classificato “ EE”, e significa che tale sentiero é per escursionisti esperti.

Il nostro pesante pullman, si é fermato nel piazzale dell’albergo alla Vedova. Stentavo a conoscere questo luogo, perché cinque anni fa, esisteva una piccola locanda, mentre oggi al suo posto sorge un grosso e moderno complesso alberghiero.  Il lungo plotone degli escursionisti, che mi sembrava un serpentone molto colorato, con intesta Sandro Manzoli, mentre la seconda guida, come é di consuetudine, chiudeva la  lunga fila degli . Escursionisti. Tutti insieme, percorriamo il sentiero immerso in un bosco ceduo di faggi, robinie e più in alto abeti che con le sue alte cime bucavano il cielo quasi azzurro, mentre il torrente dalle fresche acque, che porta nel cuore dell’orrido della Valle Scusa. Trattasi di un sentiero che al principio é pianeggiante e segue quasi sempre il torrente, dando l'impressione che non si tratti di un percorso difficile, ma noi che lo conosciamo, per averlo già percorso 5 anni  or sono, ne siamo consapevoli. Quando siamo giunti al primo guado, un piccolo gruppetto  composto da  sei escursionisti, fra cui quattro donne e due uomini, che  non erano intenzionati  di proseguire oltre. Di questo gruppetto, faceva parte Adriana mia moglie, Marisa, Maria, Tersilia, l’amico Carra e Baruffaldi. All’ultimo minuto si é aggiunta Giovanna, una nuova escursionista che era alla sua seconda uscita.

Il presidente del Cai di Mantova, Nello Zaniboni, mi ha pregato di guidare il piccolo gruppetto che non era intenzionato di partecipare alla scalata del Canyon. Quando siamo giunti al primo guado, ci siamo staccati dal gruppo e abbiamo imboccato il sentiero Lochero, che s’immerge in un ombroso bosco di pini ed alti abeti, che percorre tutto il costone della montagna. Questo é un percorso molto semplice e poco faticoso che non impegna particolarmente il gruppetto. Alla fine della passeggiata, che poi di una semplice passeggiata si é trattato, proprio nel cuore dell’ombroso bosco di conifere, abbiamo raggiunto l’ex strada militare austriaca, che ci ha riportati al luogo di partenza, cioè all’albergo “ La Vedova”, dove abbiamo atteso il rientro del gruppo.

Ritornando a parlare del torrente che porta nel cuore del Canyon, possiamo dire che é molto guadoso e più volte bisogna guadare il corso d’acqua, ma sempre con molta facilità.

In una pausa del piccolo gruppo, mi sono inoltrato quasi fino al principio dell’orrido. Dalle poche visione dei luoghi e pensando al passato, il nostro ricordo ci porta al cuore del piccolo Canyon e nell’osservare quel paesaggio strano, ma a noi ormai familiare, quelle singolari formazioni rocciose e caratteristiche guglie, abbiamo provato una grande emozione: uno stato di turbamento dovuto alla forte impressione. E’ stata una esperienza quasi nuova, una esperienza unica, che forse cinque anni prima, non abbiamo dato alcuna importanza, oppure, non abbiamo osservato con attenzione quelle formazioni calcaree. A volte, ripercorrere lo stesso percorso, rivedere gli stessi luoghi, le stesse montagne, lo stesso paesaggio, gli stessi amici, é come un revival artistico o culturale del passato, perché ogni volta si scoprono delle cose nuove e si vivono delle nuove sensazioni. Se noi rileggiamo quello che abbiamo scritto cinque anni  fa, in un altro contesto letterario, troviamo delle espressioni nuove. Come diceva un vecchio indiano d’America: “ I luoghi, le montagne e i grandi paesaggi non cambiano mai, ma le impressioni e gli stati d’animo si.” Le cose Si osservano sotto un altro punto di vista, sotto un’altra ottica. Si, é stato proprio così o perlomeno ci ha dato questa impressione.

Il “ Tempo”: che cosa é il Tempo?

Mentre eravamo incollati con gli occhi alle pareti strapiombanti del Canyon, per un momento, ci ha dato l’impressione che il tempo si fosse fermato al periodo primordiale, alla formazione ed al sollevamento di quelle montagne e ci siamo domandati: ma che cosa é  il tempo? “ Le Confessioni di Sant'Agostino, ci danno la risposta: “ Se possiamo farcene un’idea del tempo, quel solo punto si può chiamare presente che non si può suddividere in particelle, per quanto piccolissime. Ma anche quel punto trasvola così rapidamente dal futuro al passato da non avere estensione alcuna di durata. Risulta però che futuro e passato non esistono. I tre tempi sono piuttosto il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Il presente del passato é la memoria, il presente del presente é l’intuizione diretta, il presente del futuro é l’attesa”. Per noi non é stato altro che l’intuizione diretta.

Queste nostre nuove sensazioni visive, queste nostre impressioni della luce e del colore di questa selvaggia e meravigliosa natura, non sono altro che l’effetto suscitato nel nostro animo sensibile che ci richiama al presente del passato, che poi non é altro che la nostra memoria, “ che trasvola così rapidamente dal futuro al passato da non avere estensione alcuna di durata”. Queste domande non so quando me le sono poste. Forse é stato al momento di un brusco risveglio, forse durante una di quelle soste al culmine di un sentiero con la visione di un meraviglioso paesaggio del trentino, che tolgono persino il respiro, oppure una sera d’estate dopo una lunga escursione, quando il sole appena tramontato, quando le ombre si allungano diffondendo una invadente malinconia, o quando stavo rileggendo “ Il tramonto dell’Occidente di Splengler” o ancora ascoltando un telegiornale che diffondeva notizie agghiaccianti sulla guerra senza fine nel Medio Oriente, in uno di quegli attimi in cui tornano come un baleno domande che non hanno risposte e ciononostante giacciono irrisolte in quell’angolo della nostra psiche.

Nel momento in cui la frase stava componendosi nella mia mente, avevo provato un disagio, un'inquietudine che sconfinava quasi nell’ansia, come se qualcosa mi sovrastasse e, malgrado il richiamo della ragione, mi opprimesse. La stessa cosa mi é capitata, molti anni fa, quando in cima di una grande roccia stavo ammirando l’immensità del Gran Canyon, in quella regione aspra e selvaggia, rifugio e patria degli indiani d’America, mi ero domandato che cosa fosse il tempo, la natura e la vita.

La cosa di cui mi ero accorto, che si palesava con insolita e inspiegabile prepotenza, aveva sempre a che vedere con lo scorrere del tempo e proprio per questo, siamo tentati di divinare, di rendere in qualche modo accessibile, meno ignoto il desiderio di conoscenza di tutto quello che concerne la natura e la vita stessa dell’uomo.

Lasciamo queste nostre deduzioni filosofiche, quasi astratte e metafisiche, lontane dalla realtà, senza dimenticare però la natura circostante, diremo che in questi luoghi selvaggi, non é indifferente la purezza di una flora particolare e di una vegetazione rigogliosa, tipica delle valli del trentino, poi il sentiero sale gradatamente, il bosco si fa sempre più rado e le difficoltà aumentano. Il sentiero nr. 233 si presenta attrezzato con una serie di passerelle, scale di ferro, piccole cenge, passi ferrati e ponticelli sospesi nel vuoto di profonde voragini, che inghiottono ciò che precipita.

Mentre ad occidente del solco vallivo predominano i basamenti cristallini sovrastanti da rocce sedimentarie, nella parte est di questa linea si hanno situazioni differenti.

Da nord si spingono le propaggini dell’estesa piattaforma porfirica dell’Adige e si riscontrano formazioni denotati origini vulcaniche ( rocce metamorfosate del Lagorai . Più il sentiero sale verso il vertice della montagna, e maggiormente notiamo i grossi graniti isolati che costituiscono e formano i contrafforti delle parete rocciose. Il solco vallivo o meglio possiamo definirlo il piccolo Canyon della Val Scura, scavato dal torrente da una sorgente perenne, che ha eroso la grande valle, venendo a formare nel corso dei secoli, un paesaggio dantesco in tutta la sua selvaggia e primitiva bellezza.

La vista di quella scenografia naturale, prodotta dalla natura e dagli agenti atmosferici, mozzava il fiato, toglieva il respiro. La stessa cosa possiamo dire del re dei Canyon, cioè del Gran Canyon, che abbiamo ammirato negli USA, diversi anni fa. Questo della Valle Scura, di fronte al Gran Canyon, é poca cosa, é soltanto una montagna scalfita, un profilo, una leggera fenditura e non c’è paragone, ma  entrambi hanno la stessa origine: l’erosione.

Ricordo, che dopo tre ore di marcia, in quel sentiero particolarmente difficile, in quella gola irta di dirupi e passaggi difficoltosi e nello stesso tempo pericolosi, luoghi dirupati e scoscesi, la comitiva si era concessa una breve sosta. Il posto per la pausa era quello ideale, un altro migliore non esisteva in tutto il percorso della Valle Scura. Ci siamo fermati all’ombra di una grande parete granitica, dal fondo della quale sgorgava un getto d’acqua freschissima: un’acqua ristoratrice, e poi, da quella posizione si godeva un paesaggio mozzafiato, quasi si potevano contare le case della cittadina di Levico illuminata dal sole.

L’ultimo tratto di quella montagna aspra e selvaggia era lì, sembrava che si potesse toccare con la punta delle dita, ci stava aspettando, per essere scalata nella sua interezza, e finalmente, é stata vinta. L’ultimo pianoro, da quel balcone naturale che dominava il grande e meraviglioso scenario della vallata sottostante. Ricordo di essermi fermato un momento, solo  i tempo necessario per fissare l’ultimo fotogramma della pellicola e anche, per imprimere nella mente quelle meravigliose immagini e sensazioni che non si possono facilmente dimenticare. Esse rimangono indelebili nella nostra memoria.

 A fianco  del pesante torpedone, vi era Flavio, l’uomo dal codino alla Baggio, che ci stava aspettando sul monte Rovere. Prima di ripartire, sul vertice del colle, abbiamo visitato quello che rimane del forte austriaco, fatto costruire nel 1895 dall’Imperatore Francesco Giuseppe. Quella località e le vallate  circostanti, sono state teatro di guerra nel 1915/18, ove i nostri soldati hanno scritto una pagina gloriosa della storia del nostro Paese.

Gli anfratti, le colline, i dirupi e le zolle a quelle quote, sono state intrisi dal loro sangue generoso. E’ un brandello di storia ancora viva, una pagina dell’eroismo dei nostri fanti é scritta là, in quelle doline prodotte dalle granate e nei sassi che componevano il piccolo forte austriaco.   Non ricordo chi fosse, aveva detto che quelle erano le doline carsiche, ma non é così,  quelle buche, quello sprofondamento del terreno, sono la conseguenza dello scoppio delle grosse granate dei cannoni di grosso calibro dell’artiglieria italiana. Sono lì, circoscritte e isolate dal reticolato, in quel piccolo promontorio a testimoniare gli orrori della guerra, della Prima Guerra Mondiale. Quella é la zona appartenente ai Setti Comuni e costituì il perno di tutto lo schieramento difensivo italiano.

QUELL’ODIOSA IPOCRISIA CHE

NON CI FA PARLARE DELL’ODIO.

Con Adriana mia moglie, ci siamo seduti su di una roccia di granito ai bordi di una delle centinaia di doline, che poi doline non sono, ma buche scavate dalle granate degli obici dell’artiglieria Italiana. In quei momenti di riposo e di riflessione, mi é venuta in mente la guerra, in un luogo come quello che cosa si poteva pensare se non alla guerra: a quella strana guerra crudele e devastatrice. In quel momento, ho pensato fra di me: Siamo circondati da luoghi dove regnava l’odio, ma spesso non ne parliamo per ipocrisia, ma parliamo sempre e soltanto dell’oggetto d’amore che lo sostiene: la religione, la nazione, il partito, la causa che o giustifica. Solo Freud ha avuto il coraggio di dirlo, dopo aver assistito alla Prima Guerra Mondiale, di cui questi resti ne sono la reale testimonianza, provocando lo scandalo dei suoi allievi psicanalisti. Egli prima spiegava la violenza come reazione alla frustrazione della libido. Ma questa sua teoria, gli é apparsa inadatta a spiegare ciò che stava accadendo in Europa. Popoli che avevano vissuto in pace per secoli scatenati improvvisamente l’uno contro l’altro come belve. I resti di questo forte, le doline che lo ricordano, se potessero parlare, ci  racconterebbero di quell’odio, di quelle atrocità e della durezza di quei combattimenti. Noi, allora, che stavamo osservando i resti di quello che fu il forte austriaco più attivo dell’altopiano, oggi semi distrutto, possiamo soltanto intuire, capire, comprendere senza bisogno di ragionamento o di riflessione, qual era lo stato ‘animo e l’odio delle truppe che lo difendevano ad oltranza, contro il nemico che gli stava di fronte, ma come di Freud, “ viene prima delle ragioni che lo giustificano”.

Il sociologo F. Alberoni, nella sua rubrica “ Pubblico & Privato”, che appare settimanalmente sul “ Corriere della Sera”, ci da una spiegazione più approfondita e logica. Egli così scrive di quell’odiosa ipocrisia che non ci fa parlare dell’odio: “ Scienziati, artisti e intellettuali che, fino a poco tempo fa  formavano una comunità integrata, ora si scoprivano nazionalisti fanatici che insultavano, danneggiavano, accusavano di iniquità e colpe mostruose il Paese nemico. E milioni di morti giustificati sulla base di queste motivazioni inconsistenti. Allora Freud ha capito che l’odio viene prima delle ragioni che lo giustificano. Che costituisce un istinto, esattamente come eros e, come eros, una fonte di gioia”.

“ Il nemico esulta sul corpo del nemico”. E noi, possiamo aggiungere che, quando quest’odio si organizza attorno a due religioni in conflitto, chi parteggia per una delle due si sente sempre buono, sempre  giusto, sempre nobile e vede l’infamia solo nell’altro. Per esempio, senza perché entrambi, da millenni appartengono alla martoriata Terra Santa, in quella terra dove é nato Gesù. Le vittime israeliane degli attentati da parte dei Kamikaze palestinesi sono centinaia, mentre i morti palestinesi superano il migliaio. Dopo 13 mesi di governo, il primo ministro israeliano Ariel Sharon si trova a dover affrontare il più sanguinoso bilancio nella storia dello Stato ebraico.

Una cosa é certa: la sorte d’Israele é inchiodata a quella dei palestinesi, come afferma, a lo storico Eli Barnavi: “ I due popoli possono pure detestarsi, ma ciò nondimeno sono legati l’uno all’altro come due gemelli siamesi. La felicità dell’uno non può edificarsi sull’infelicità dell’altro, sono condannati a prosperare insieme o ad andare a fondo insieme.

Nella regione che si stende tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo devono esistere due Stati, uno accanto all’altro: Israele e Palestina. Se non sarà così, sarà proprio una 2 guerra senza fine”.

Così continua l’articolo del sociologo F. Alberoni: “ Nella guerra, nella battaglia, nel momento di esaltazione collettiva dello scontro politico, l’odio raccoglie in sé tutte le energie vitali e le fa esplodere in un urlo gioioso. Gli uomini fanno orgasmo della violenza. E la vita pubblica si esalta nei momenti di mobilitazione urlante, quando un tributo addita il nemico e ne promette la distruzione”. Tutto questo é successo nella Grande Guerra e in tutte le guerre, come oggi sta succedendo nella guerra senza fine fra Israele e Palestina. Gli uomini hanno cercato di incanalare la propria aggressività evitando che esploda in odio. Prima di tutto con lo sport. Nella Grecia antica con le olimpiadi, oggi con le partite di calcio. Un altro strumento é stato, in Occidente, la cavalleria. Mentre in Giappone il guerriero vinto veniva ucciso, da noi era oggetto, almeno formalmente, di rispetto. In Cina la competizione é stata incanalata negli esami burocratici. In Occidente, nella concorrenza economica regolata da leggi. Ma la più grande innovazione é rappresentata dalla democrazia con alternanza di tipo anglosassone.

La lotta non é più cruenta, ma si svolge con schede elettorali. E il vincitore non uccide, non processa ma depreda e non rende schiavo il vinto. Anzi lo mette in condizione di rifarsi alla partita successiva.

“ Ma c’è sempre stato anche chi ha voluto di più, chi ha cercato di rifiutare, prima di tutto in sé, la volontà di potenza che alimenta l’aggressività e le realizzazioni ipocrite che la giustificano. E di trasmettere questo spirito agli altri. Pensiamo a Budda, Platone, Gesù. Essi hanno tenuto vivo nel cuore e nella mente degli uomini una alternativa, una speranza. Così é nata la mistica, la rinuncia al potere, la vita contemplativa e quella monastica che hanno irrogato, fecondato la vita attiva addolcendola, ingentilendola. Ma la società moderna sopporta male queste istituzioni e incanala anche la non violenza ed il pacifismo nei giochi del potere politico. Così chi vuol fuggire dall’odio deve rifugiarsi nella propria intimità o in quelle comunità silenziose.

“ Avrebbe mai creduto il vecchio imperatore Francesco Giuseppe che un giorno i militari austriaci sarebbero venuti a Roma a suonare proprio la Marcia di Radetxly fra scosci d’applausi? Eppure si é verificato, proprio oggi, 2 giugno, l’anniversario della nostra Repubblica. Oggi che l’Europa é completamente cambiata, che ha raggiunto l’unione monetaria con l’Euro e domani, ne sono sicuro, raggiungerà quella politica. Ricordo che un giovane, non ricordo chi fosse, quando stavamo visitando i resti di quello che fu il  Forte di Monte Revere, mi ha  chiesto: “ Ma cosa ci fanno queste mura cadenti e pericolanti”? Nulla, completamente nulla. Essi sono  ancora in piedi per non farci dimenticare gli orrori della guerra. Quel vecchio Forte abbandonato, ci ha ispirato questi poveri versi:

IL FORTE VERBER

 DI MONTE ROVERE. ( poesia)

Là, in fondo alla pineta nera,/ crepitava una mitragliera,/ il piccolo forte bombardato/ dagli obici nella sera./ Non sventola più sul pennone/ la bandiera straniera./ Si ode uno squillo di tromba,/ il trombettiere annuncia l’avanzata./ La pugna é  greve,/ come pure il rumore della accozzaglia,/ incerti le sorti,/ o la vita o la morte./ I fanti e gli alpini all’attacco: / sono avvolti nell’anfratto/ dall’odore agre della battaglia./ Alla fine della giornata/ il nemico é in ritirata./ E’ sera, il fante piumato depone il fucile/ nella rastrelliera./ Dopo la battaglia,/ il dolce canto di una capinera./ Sul pennone del vecchio fortino,/ risale la nostra bandiera.

 La nostra escursione domenicale di cinque anni fa, é terminata proprio lì, di fronte ai resti di quello che fu uno dei capisaldi più importanti del sistema difensivo austriaco dell’altopiano dei Setti Comuni. Oggi, 2 giugno 2002, anniversario della Repubblica Italiana, siamo qui seduti davanti all’albergo “ La Vedova”, stiamo aspettando il resto della comitiva che ha scalato  il piccolo Canyon della Valle Scura. Il mio sguardo, é rivolto verso  i contrafforti che delimitano le due montagne dove si forma la gola del Piccolo Canyon della Valle Scura. Ho in mano un foglio di carta patinata, che ho staccato da una rivista che pubblicista quest’angolo di pace a poca distanza dello specchio lacustre di Caldonazzo. Finalmente mi decido a tirar fuori la biro, e tra un caffè e l’altro, abbozzo il profilo di quella massa montagnosa in bianco e nero. Come succede tutte le volte che dipingo o disegno all’aria aperta, attorno a me si é radunata un piccola folla di curiosi, non é che a me fa dispiacere  di essere osservato da quella gente anonima, di quella gente che non conosco, anzi, mi fa piacere che la gente s’interessa dell’arte. É uno schizzo, un semplice schizzo, che appena sarà finito questo libro escursionistico, illustrerà questo capitolo della Valle Scura.

Questo capitolo non rispecchia   la storia di un incidente in montagna o il freddo delle cinque di mattina su un ghiacciaio del Monte Rosa in quota, con la tragica discesa nella tormenta, il volo nel crepaccio, l’orrore, la solitudine, l’animalesca volontà di sopravvivenza e tutto ciò che é simili avventure solitamente comportano, nulla di tutto questo. E’ la descrizione di un luogo aspro e selvaggio, un luogo meraviglioso dove si incontrano precipizi, cenge  strapiombanti e sentieri stretti e intagliati nella roccia, ma anche luoghi che rispecchiano la storia del nostro meraviglioso Bel Paese, una pagina della  Grande Guerra, che si é consumata nelle propaggini di questa aspra montagna. Quello che conta é l’amicizia che in questo scenario drammatico esplode e si rafforza, l’amicizia che ciascuno di noi vorrebbe avere vissuto con gli uomini del CAI di Mantova.

 Questo nostro libro, che poi non é altro che una zibaldone, dove sono raccolte riflessioni, appunti di viaggio, molte storie  che ciascuno di noi  vorrebbe aver vissuto. Ma a volte la storia non basta mai. Alla fine del percorso escursionistico, le pagine stampate diventino un libro che non si ha la voglia di posare quando lo si é preso in mano, ci vogliono le parole per raccontare la storia: una scrittura che ci faccia dimenticare che siamo seduti in casa a leggere mentre fuori c’è il sole.  Come diceva Paola Mazzarella, “E’ l’unico criterio, in fondo, per giudicare un buon libro”.

Noi non abbiamo la pretesa che questo nostro lavoro sia un buon libro, ma almeno ci abbiamo provato a raccontare le nostre piccole avventure, le nostre riflessioni, le nostre gioie, e la nostra passione per la montagna.

VALLE SCURA. ( poesia).

E’ un sentiero quasi abbandonato,/ sale nella penombra in Val Scura,/ é il sentiero nr, 233, non fa più  paura./ Tra i sassi scorre l’acqua cheta,/ crescono in libertà robinie e sterpi,/ e guizzano leste fra l’erba le lucertole e le serpi./ I dirupi passi, le pareti scoscese,/ le scalette, le ferrate a sentinella,/ voci si sentono di versi molli,/ dai visi stanchi il sudore scorre./ Nel vuoto della Valle rimbomba,/ sembra una tomba,/ é una voce amica, sembra lontana e sola,/ é la voce di Luciano Missora./ Sembra che dica: / La cima si tocca con le dita!/ Amici del CAI,/ allegria! la fatica é finita!