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PELLEGRINAGGIO A SANTA CATERINA DEL SASSO

6 giugno 2002

Ho sempre desiderato di effettuare una escursione sul lago Maggiore, ma non si é mai presentata l’occasione. Adesso, che si é presentata questa opportunità, non l’ho lasciata passare. Appena ho saputo che Don Enrico Castiglione, parroco di Campitello, stava organizzando una gita  sul Lago Maggiore, con pellegrinaggio al Santuario di S. Caterina del Sasso, mi sono premurato di fissare due posti. Adriana mia moglie, molti anni fa, quando era  ancora ragazza, vi era stata con le ACLI di Alessandria. Conoscevo questi luoghi per averli visti alla televisione, per aver letto alcuni articoli di cronaca, libri turistici e letterari, dai quali ne esaltano le sue bellezze naturali e artistiche, ma vendendo questi luoghi di persona, con i propri occhi, credetemi, é un’altra cosa: é un sogno da scoprire.

PIEMONTE E LOMBARDIA.

Dopo  una settimana di brutto tempo, che ha provocato allagamenti, frane e smottamenti nelle regioni del Nord, provocando danni ingenti  alle culture e  alle abitazioni, grazie a Dio, sembra che le bizzarrie di Giove pluvio si siano placate. Quando siamo partiti da Campitello, il cielo  era coperto ed incominciava nuovamente a piovere. Infatti, era piovuto per tutta la notte. I presupposti per una buona giornata non c’erano  affatto. Eravamo quasi tutti col broncio, mostrando un'espressione di malumore, ma non bisogna mai perdere la speranza e soprattutto non  essere pessimisti nella vita. Il pessimismo é quella disposizione dell’animo che fa considerare la realtà sempre dal lato peggiore, in modo negativo, come il pessimismo di Schopenhaur e di Leopardi, mentre bisogna essere sempre ottimisti e vedere le cose sotto un altro punto di vista e prevedere il corso degli eventi in modo positivo. Il mio é stato un cauto ottimismo, una visione moderatamente positiva,  favorevole. Infatti, man mano che l’orizzonte si andava schiarendo, da dietro le montagne spuntavano i primi raggi del sole. La prima montagna ad essere illuminata dal sole, é stato il maestoso Monte Rosa, coperto di neve che emergeva dalle acque placide del Lago Maggiore.

La furia del tempo, ha interessato la regione Piemonte e quella della Lombardia. Queste due regioni, dove noi oggi ci troviamo, non sono soltanto le regioni dai colori velati dalla nebbia, dalle risaie specchianti, dalle verdi e lente propaggini delle colline moreniche e del Monferrato, ma sono un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestive, quasi al limite dell’irreale. Dopo la grande e verdeggiante pianura Padana, eccoci giunti nei laghi prealpini. Ovunque abbiamo visto fiumi e laghi tracimati, pianure invase dall’acqua, case sventrate e colline franate. Ovunque tristezza e dolore.

Incominciamo col dire che nella fascia prealpina tra Piemonte e Lombardia si aprono, da ovest ad est, il Lago d'Orta, il Lago Maggiore, il Lago di Varese e quello di Lugano, più una serie di bacini minori: sono stati i ghiacciai quaternari a modellare questo paesaggio, con i bacini tipicamente chiusi a sud dai dolci rilievi che ne costituiscono gli anfiteatri morenici.

Noi conoscevamo soltanto il  piccolo lago molto “piemontese”: Il Lago d’Orta ( o Cusio). Quest’angolo di paradiso terrestre, anche se in alcuni luoghi non sono riconoscibili per via della furia devastatrice dei temporali che si sono abbattuti in questi giorni,  é terra piemontese non solo per la colorazione geografica ma anche per  il suo fascino raccolto e per l’atmosfera quieta e riservata, che nasconde però tesori preziosi. Tranquillo e un po' buio, ricco di ville dagli stupendi giardini, il Cusio va scoperto poco a poco, come una bella donna sul talamo dell’amore, come abbiamo fatto noi moltissimi anni fa. Quella volta, passeggiando lungo le rive, andando a curiosare tra le strette viuzze dei suoi paesini, inerpicandosi su per le valli alla ricerca di panorami suggestivi e inaspettati e di angoli insensibili allo scorrere del tempo, visitando l’isola di San Giulio e il suo antico borgo.

L’abitato di Orta San Giulio, sorge su una piccola penisola culminante nel Sacro Monte ( complesso di 20 cappelle innalzate nei sec. XVII e XVIII) e conserva l’aspetto antico con la piazza centrale, su cui sorge il palazzotto comunale, e la stretta via che attraversa il borgo con palazzi e case barocche. L’isola di San Giulio é dominata dalla basilica romanica (XII sec.).

Il Lago Maggiore.

Un vecchio proverbio dice: “ Non é mai troppo tardi per scoprire gli angoli più belli del Bel Paese”. La storia di questo lago ricchissimo di testimonianze artistiche, la cui riva occidentale é piemontese, quella orientale lombarda, mentre l’estrema punta settentrionale é svizzera, si articola in tre fasi. La prima, quella della “scoperta”, vide tra il XVII e il XVIII secolo la costruzione di meravigliosi palazzi da parte delle più facoltose famiglie piemontesi e lombarde. La seconda fase é quella della conquista di una fama internazionale: siamo nella Belle èpoque e la società mondana - riveste le rive di splendide ville, giardini e hotel. La terza fase, odierna, corrisponde all’esplosione del turismo domenicale di massa. Noi, facciamo parte di quest’ultima fase.

Dire che é un’isola festosa é un po' eccentrica.

Dalle tre isole del Lago Maggiore - Isola Bella, Isola Madre, Isola dei Pescatori - la prima é quella più profondamente “ ricostruita” dall’uomo. Di proprietà dei conti Borromeo, venne completamente spianata tra il 1630 e il 1670 per trasformarla in un ideale bastimento. Il palazzo barocco, i giardini, la darsena, le dieci terrazze sovrapposte, le scenografie architettoniche dovevano simulare un naviglio ancorato nel lago. Oggi l’isola Bella presenta uno dei più sontuosi giordani all’italiana, una serie di terrazze scenograficamente degradanti, un anfiteatro per le rappresentazioni teatrali, fontane e giochi d’acqua. Il palazzo Borromeo, tipico esempio di barocco lombardo, racchiude sale ricche di arazzi, mobili e preziosi dipinti. Curiose, infine, le grotte, al livello del lago, completamente decorate con motivi acquatici, pesci, alghe.

La provincia dei sette laghi.

Questa definizione sottolinea la ricchezza, la varietà e il diverso carattere delle acque dei laghi del Varesotto, dalle vaste superficie dei laghi Maggiore e di  Lugano ai minuscoli laghetti di Biandronno, a sud, e Dello, a nord, prossimo alla Svizzera. Questi bacini, insieme ai laghi di Varese, di Comabbio e di Monate, il più vicino alla sponda del Verbano, si compongono in un quadro che, pur straordinario, si presenta dolce e armonioso: torbiere e paludi, angoli “ preistorici” che hanno restituito testimonianze dell’uomo primitivo, collinette ricche di verde riposante, colture e prati, borghi operosi.

IL SANTUARIO DI S. CATERINA DEL SASSO..

Dopo  una descrizione sommaria dei luoghi del Lago Maggiore, veniamo al nostro pellegrinaggio - escursionistico. Alle ore 8,30 circa, il pesante automezzo si é fermato sull’altopiano, cioè poco prima del sentiero da dove incominciano una serie di gradini intagliati nella roccia che conducono  davanti al Santuario di S. Caterina del Sasso. Questo piccolo Santuario, sorge in pittoresca posizione sopra ad una roccia a picco sulla sponda orientale del Lago Maggiore, da dove  l’occhio può spaziare sul Lago ed ammirare un paesaggio da sogno, con all’orizzonte il massiccio del Monte Rosa, bianco di neve ed illuminato dal sole che completa quel paesaggio senza pari. La leggenda vuole che questo grumo di piccoli edifici religiosi sia stato fondato nella seconda metà del sec. XII da un ricco mercante che, sorpreso nelle acque del lago da una terribile tempesta, fece voto di darsi alla penitenza una volta giunto a riva, la riva appunto dove attualmente sorge il Santuario e dove noi parrocchiani di Campitello, siamo giunti dalla brumosa Valle Padana, per partecipare al pellegrinaggio di S. Caterina.

Questo, oltre ad essere un luogo solitario, é un romitaggio,  un luogo di pace e di preghiera, e anche un luogo del silenzio e della  riflessione: un luogo dove gli uomini si recano per pregare, per riflettere, per trovare loro stessi e per rifugiarsi nella  propria  interiorità e venerare la Vergine Santissima . Quando siamo  giunti in questo luogo dove regna la serenità, oltre alle pie donne che accudiscono a questi luoghi, non c’era nessun altro. Dopo la Santa Messa, officiata dal nostro parroco, é giunta un’altra comitiva    di turisti, che dal loro linguaggio gutturale, abbiamo desunto  si trattasse di cittadini svizzeri di lingua tedesca, che come  noi, sono giunti dalla sponda opposta  in questo Santuario, per piegare il ginocchio davanti all’altare della Vergine del Sasso. Dopo la Santa Messa, abbiamo visitato i luoghi del santuario, da dove si può ammirare un paesaggio unico con vista della sponda Occidentale del lago ( Stresa, Pallanza, Isole Borromee..).

VILLA TARANTO.

Dopo la visita di questo luogo, che é un vero romitaggio, abbiamo attraversato in battello il Lago di Laveno - Intra, dove abbiamo visitato la meravigliosa Villa Taranto, che é sita sulla strada che conduce a Pallanza, che fu costruita alla fine del XIX secolo, alla cui sommità é la chiesetta romanica di S. Remigio. Villa Taranto é uno dei più bei giardini botanici d’Europa con molteplici varietà di fiori: cinerarie, primule, violette, anemoni, rose, limoni, mughetti, magnolie, narcisi, ciliegi, azalee, ginestre, oleandri, ninfee e fior di loto nelle fontane, gardenie, petunie, garofani, zinnie, ortensie, camelie etc... Il parco ha un patrimonio botanico vastissimo, dove abbiamo ammirato fra l’altro, alcune piante della famiglia delle sequoie: albero delle conifere, originario della California, che può raggiungere dimensioni enormi e superare mille anni di vita. Nel Parco Nazionale della California, alcuni anni fa, a cinquanta chilometri da S. Francisco, abbiamo visitato uno dei più importati parchi di sequoie degli Stati Uniti d’America. Questo parco sorge in una località arida nei pressi di Sausolito, di fronte alle coste dell’Atlantico. Questa é una pianta di grosso fusto che richiede molta acqua, ma li di acqua non ce ne  a sufficienza per alimentarsi, ma la natura ha provveduto diversamente. La California é un paese temperato, ma é anche una località  dove la nebbia fa da padrona, per via delle correnti umide che spirano appunto dall’Atlantico. Queste correnti umide generano la nebbia che a  loro volta forniscono, sotto forma di nebbia, l’acqua alle sequoie.  Nel Parco della Villa Taranto, germogliano oltre alla sequoia,  grandissime  cedri del Libano e faggi dalle foglie marrone  et cc.. Il parco ha un patrimonio botanico vastissimo (1.000 qualità di piante mai coltivate in Italia e 20.000 varietà di specie) ed é ambientato in giardini terrazzati, con fontane, giochi d’acqua, cascate, serre e con spettacolari fioriture ( di cui sopra) che costituiscono una delle principali attrattiva del lago Maggiore. Adriana, e non solo lei, é rimasta estasiata  di fronte a tanta bellezza, proprio  lei che ama moltissimo i fiori e i giardini, é rimasta incantata. Osservando questo paradiso terrestre, ci veniva in mente il nostro modestissimo giardinetto:  un fazzoletto di terra, che di fronte a questo spettacolo di colori é nulla. Ma oggi, in questa meravigliosa giornata di giugno, non ci troviamo a Campitello, ma siamo sul lago Maggiore, nel luogo più bello del mondo e che  tutti  ci invidiano.

Nel pomeriggio, dopo una breve sosta nel parco per lo spuntino nel bar - ristoro, siamo stati raggiunti dalle due guide per la visita alla Villa S. Remigio di Pallanza. ( attualmente é sede della Regione Piemonte) con parco naturalistico di oltre 20.000 m.q. Qui si possono ammirare in questo periodo, accanto ad una ricca vegetazione di alberi pregiati stupende fioriture di rododendri e rarissime azalee blu e gialle.

Villa San Remigio.

Un sogno romantico.

Sulle rive del lago Maggiore, proprio accanto al più noto giardino di Villa Taranto da cui lo divide solo un muro di pietra costruito a secco, é rimasto lo straordinario complesso dei giardini di Villa San Remigio nato per realizzare il sogno romantico dei marchesi della Valle di Casanova, come da loro stessi affermato nella lapide ancora presente nel piazzale davanti alla casa, dove noi ci siamo fermati ed abbiamo letto  la seguente  scritta: “ Noi Silvia e Sofia Della Valle di Casanova qua dove l’infanzia ci unì questo giardino nato da un comune sogno di gioventù adolescenti ideammo sposi eseguimmo.....”.

Il gruppo degli escursionisti é stato  diviso in due squadre, Adriana ed io, facevamo parte del primo gruppo guidato dalla signorina Alessandra Maddalena. La nostra escursione  ha avuto inizio  dalla chiesetta romanica di S. Remigio, che sorge sulla cima della Castagnola. La storia ci dice che la prima menzione della chiesa risale al 1132, ed é contenuta in un documento in cui il papa Innocenzo II conferma al vescovo di Novara Litifredo l’elenco delle chiese che sono a lui sottoposte: San Remigio é nominata assieme a S. Angelo, la chiesa ora distrutta, che sorgeva un tempo sull’isolino S. Giovanni, davanti alla riva di Pallanza, presso il castello di S. Angelo ( in realtà la chiesa era dedicata a S. Michele, ma in altri documenti é la chiesa stessa ad essere nominata come cappella di S. Angelo) San Remigio e S. Angelo, dunque, sono in questo documento papale citati entrambi come capellam, non dipendente né della pieve di Intra né da quella di Baveno.

La chiesa di San Remigio, orientata con le absidi verso est, presenta una pianta piuttosto insolita: é costituita infatti da due navate asimmetriche; probabilmente era prevista la costruzione di una terza navata verso nord, ma il progetto, come ci spiega la giovane guida, venne abbandonato, forse per le difficoltà tecniche legate al terreno scosceso su cui la chiesa venne edificata: uno sperone di roccia, ben visibile alla base della parete settentrionale, sia all’esterno che all’interno, dove costituisce addirittura un sedile roccioso nel tratto iniziale della muratura.

Abbiamo potuto constatare che la chiesa é preceduta da un portico cinquecentesco ed é affiancata sul lato nord da una torre campanaria a base quadrata.

La facciata segue l’andamento delle navate: a capanna la maggiore, scandita da specchiature simmetriche e molto più bassa, conclusa da una fila di archetti rampanti la minore. Questa bellissima chiesetta é incoronata da una fila di alti cipressi svettanti nel cielo e da altre piante antropiche.

All’interno, abbiamo notato alcuni elementi architettonici che confermano la datazione proposta: la struttura stessa della navatella, stretta e dall’andamento irregolare, le volte delle due campate verso il presbiterio della struttura. Nei semicerchi dell’abside maggiore é conservato un affresco che rappresenta Cristo tra gli Apostoli superiormente, mentre nello zoccolo é visibile un ciclo dei mesi dipinti con immediatezza di linguaggio e con una tecnica semplice di disegno, come si addiceva alla trattazione di figure profane. 

Di questi frammenti di affreschi, che  arricchiscono le rustiche pareti di questa stupenda chiesa romanica di S. Remigio, Maria Pia Zocchi, così scrive: “ I dodici apostoli, differenziati nelle fisionomie, sono disposti in pose ripetitive e rivelano nella rigidità delle figure e nell’uso di sigle geometrizzanti nelle pieghe e negli orli degli abiti legami più stretti con certa pittura di maniera bizantineggiante: per essi si può proporre una datazione alla fine del XIII secolo, confrontandoli con le pitture tardo - duecentesche conservate nella rocca di Angera e nella chiesa di S. Leonardo di Borgomanero. Questa iconografia, diffusa in numerosi affreschi e mosaici dell’Italia settentrionale e del Canton Ticino ancora fino al XV secolo inizia a comparire negli edifici sacri del XII secolo, quando la Chiesa abbandona l’atteggiamento di condanna nei confronti del lavoro manuale: il lavoro non é più visto come condanna, ma come mezzo di salvezza. E così, la rappresentazione realistica o simbolica delle attività umane nel corso dell’anno diviene offerta del lavoro dell’uomo a Dio: i mesi vengono raffigurati con immagini immediatamente riconoscibili da un vasto pubblico. Il trascorrere del tempo rappresentato dalla successione nella collocazione nello spazio sacro dell’abside, in posizione subordinata alla raffigurazione dei dodici Apostoli che fanno corona al Cristo”.

Ci troviamo sul colle piuttosto scosceso della Castagnola di Pallanza,che non é altro che un balcone panoramico da dove con lo sguardo si domina  tutto il  lago e l’intero gruppo del Monte Rosa bianco di neve, si chiama così perché un tempo germogliavano i boschi di castagno, di quelle piante che fino all’ultimo conflitto mondiale hanno sfamato intere generazioni, mentre oggi hanno lasciato il posto ad  una miriade di piante tropicali e a fiori di ogni tipo, riuniti in giardini terrazzati all’italiana e all’inglese, che si sposano meravigliosamente con l’ambiente e il paesaggio del lago Maggiore. Queste colline ospitano numerose ville signorili grazie alla sua panoramica posizione e al microclima dolce del lago, a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, dove gli appassionati coniugi Silvio (1861 - 1929), discendente di una nobile famiglia napoletana, e Sofia Browne (1860 - 1960), originaria di Dublino e nipote di quel Peter Browne che per primo aveva acquistato dei terreni sulla Castagnola e vi aveva fatto erigere dopo il 1860 uno chalet in stile svizzero in modo di poter quotidianamente “possedere un sì bell’orizzonte”, riuscirono a realizzare un desiderio da loro cullato sin da quando erano bambini. La storia di questi appassionati della natura, ci dice che infatti, non solo avevano a Pallanza delle proprietà progressivamente acquisite, ma erano anche imparentate, avendo Ester, sorella di Dionigi Browne, figlio di Petr e padre di Sofia, sposato Federico Della Valle di Casanova, il padre di Silvio; i due primi cugini si erano dunque frequentati sin dall’infanzia e avevano tenuto fede all’intento di costruire insieme  questo luogo fantastico dove la bellezza della natura si armonizza con le forme foggiate dall’arte, dove le emozioni potessero prendere corpo, colore e profumo nell’accogliente scenario lacustre fatto di acqua e montagna. Una cosa dobbiamo sottolineare, e con nostro rammarico dobbiamo dire, che questa meravigliosa Villa,  sta andando alla rovina  per incuria come tutte le cose che appartengono all’Amministrazione  pubblica. Se confrontiamo questa stupenda Villa con quella di  Villa Taranto, troviamo una grande differenza: la prima , si potrebbe dire che é semi abbandonata e priva di manutenzione, mentre la seconda é meravigliosamente curata in ogni minimo particolare, con aiuole fiorite,  giardini curati e viali puliti. Insomma, occorrerebbe maggiore attenzione. Si sa, che ogni cosa ha un costo e spesso, l’Amministrazione pubblica non trova i fondi sufficienti per fare tutto questo. E’ un vero peccato.

“La costruzione di questa Villa coinvolse un numero elevato di lavoratori, ma in quel periodo, dal 1896, anno in cui Silvio e Sofia diventarono sposi, al 1916, quando si conclusero i grandi lavori per sagomare e arredare i giardini e il parco, la rimunerazione della manodopera non costituiva un ostacolo insormontabile per il ceto nobiliare, mentre oggi, come abbiamo detto sopra, é tutto al contrario.

Da come abbiamo potuto osservate, possiamo dire che in quel tempo si resero necessari sostanziosi sbancamenti di terreno, terrazzamenti, erezioni di muri di sostegno, scalinate di raccordo, scavi per gli invasi delle vasche e per addurvi l’acqua, impegnativi trasporti di materiale, piante adulte, statue, obelischi, e altro, naturalmente ricorrendo alla sola forza di uomini e animali, come testimoniano qualche rara fotografia scattata all’epoca.

Ci siamo soffermati nel basso Giardino della Mestizia, circondato da canfori e conifere pregiate, doveva essere denso d’ombra, privo di fiori e invita ancora oggi a respirare la malinconia del verde intenso del piano erboso, del bosso sagomato, a soffermarsi in silenzio davanti alla statua di Ercole con l’Idra posta in un'esedra a mosaico tra le piante fiancheggiata da due esedre minori ornate di fontanelle, conchiglie, delfini e coronate da obelischi.

La comitiva, estasiata di tutte queste bellezze, si soffermava a lungo ad ammirare queste opere d’arte prima di  passare alle terrazze subito sovrastante, i tratti stilistici all’italiana dovevano offrire un ambiente di verde ben potato e scolpito grazie all’impiego di tasso, alloro, bosso, gelsomino mescolati con disinvoltura a specie esotiche quali profumatissimi osmanti, camelie, crotomerie, cipressi americani a conferma di interessi botanici ormai allargati verso oriente ed occidente. In quest’angolo meraviglioso, ci siamo soffermati per ammirare con maggiore attenzione il capolavoro di cesello, fatto dai giardinieri nel potare e mettere insieme le varie piante, creando così delle vere opere d’arte.

Leggiamo nella pubblicazione che illustra la Villa, che  in questo spazio la marchesa Sofia voleva suscitare un sentimento gioioso e quindi il Giardino della Letizia, intorno alla statua del carro a Conchiglia di Venere (ma forse é Diana la dea che guida la coppia di cavalli marini modellati dallo scultore milanese R. Ripamonti, conoscente dei Casanova), é stato colmato di rose e di altri fiori in colorati parterre fra i ricami di bosso nano. Dal Giardino della Letizia si sale a quello molto sobrio delle Ore, così chiamato per la presenza di una meridiana circolare in pietra che porta la scritta, adesso poco leggibile: “ Silvio e Sofia pongono perché ogni dì la luce novella lambisca l’ombra delle ore che furono”; questa terrazza, delimitata sul davanti da una balaustra con le statue di Giunone, Bacco, Venere e Plutone, celebra un periodo di vita felice ma come ogni cosa destinato a finire.

 Carla Lodari, nel suo articolo che illustra le bellezze dello straordinario complesso dei giardini, così scrive: “  Il terrazzo che raccorda il Giardino delle Ore al piano su cui sorge la grande casa costituisce anche il tetto della serra a vetrate che doveva contenere molte piante d’ambiente subtropicale quali felci, begonie, orchidee che in quell’ambiente protetto vegetavano tanto bene quanto, subito all’esterno della serra, le palme esotiche delle specie Erythea armata, una rara “ palma blu” della California, Jubaea spectabilus, un’imponente palma dal grosso tronco liscio e grigio, originaria del Cile, o la rampicante cinese Ficus pumila, che ricopre fittamente numerose porzioni di muri, balaustre e scale”. Ovunque   ti trovi, ovunque guardi, ti rendi subito conto che si fa sentire la mano artistica della marchesa negli spazi molto disegnati dei giardini esposti a nord in cui ricorrono le linee sciolte dello stile barocco ben adatte ad esprimere sentimenti nostalgici del passato. Di fronte a noi domina la bellezza della Villa, dove una scalea con due iniziali diramazioni curve a fiancheggiata da alloro e tasso potati a gradoni scende verso il Giardino dei Sospiri composto da una vasca sovrastata da un’esedra a sette nicchie che accolgono statue e mosaici fra cui si conoscono le effigi dei due sposi, che Don Enrico, continuava a chiamare “i due piccioncini in eterna luna di miele”. Ovunque si notava l’eterna atmosfera di decadentismo che viene ripresa nel giardino delle Memorie, sul quale si affaccia lo studio di pittura di Sofia e dove si trova un’altra ampia vasca, dei grandi vasi, delle colonne e degli obelischi; le aiuole colme di colore dovevano celebrare con la bellezza effimera dei fiori l’eternità dell’amore. “ Rosae transeunt/ memoria/ rosas dedicamus amori” recita l’interno del contorno in mosaico di due aiuole dove poggiano su piedistalli statue di putti ricoperte di rose che simboleggiano la brevità e l’allegria dell’adolescenza.

Don Enrico, nell’osservare il ricco patrimonio  botanico di villa San Remigio, era solito chiedere alla guida il nome di quelle piante rare, e poi, rivolgendosi al sottoscritto, mi chiedeva se conoscevo questa o quella pianta. Anche per me , quelle erano piante rare e bellissime, piante che non avevo mai visto prima di allora e al pari di Don Enrico, ero molto curioso di conoscere il loro nome e la provenienza. Sicuramente, osservando tutta quella profusione di tesori artistici, testimoniano che la marchesa oltre ad essere un’abile paesaggista, attenta all’aspetto architettonico delle sue composizioni giardinistiche era anche dedita a studiare degli speciali effetti di luce e di ombra con le forme vegetali perfino al chiaro di luna, era anche una appassionata botanica impegnata a introdurre e coltivare nei suoi giardini delle piante a quel tempo ancora abbastanza insolite sul lago Maggiore, dove tuttavia il microclima favorevole di certo incoraggiava questo tipo di esperimenti.

Clara Lodari, nell’illustrare la Villa San Remigio, così termina dicendo: “ Quando erano ancora in vita i marchesi, la villa e i giardini di San Remigio si aprivano spesso per accogliere magnificamente le personalità conosciute negli ambienti diversi della cultura europea. Furono ospiti ad esempio pianisti della levatura di Clara Wieck Schumann, Ferruccio Busoni, Wilhelm Kempff; anche Gabriele D’Annunzio frequentò la casa Della Valle di Casanova. In quanto pittrice la marchesa, era stata allieva di Arnaldo Ferraguti, era vicina ad alcuni artisti del suo tempo, come lo scultore Riccardo Ripamonti o il pittore Umberto Boccioni. Ma molto più fitto risulterebbe l’elenco dei personaggi famosi che godettero il privilegio di conoscere la villa San Remigio, incarnazione non di un atto di superbia dei marchesi ma sogno concreto di un’aspirazione a superare la banalità materiale. Questa messa in scena di uno stile di vita ormai estraneo alla realtà attuale può forse ancora, con la forza delle sue immagini, dare uno stimolo ad ambire a sensazioni elevate, a penetrare le ragioni del passato per meglio capire il senso del presente, impedendo che villa San Remigio venga considerata solo come un fatuo sogno del crepuscolo”.

Il menefreghismo all’italiana.

Quando abbiamo lasciato i giardini di villa San Remigio, il sole era in fase calante, ma c’era ancora tempo per visitare le Isole Borromee. Fuori dai cancelli, abbiamo notato una gran confusione di macchine parcheggiate senza nessun ordine prestabilito. Cosa era successo? Abbiamo saputo che in un albergo attiguo alla villa, si stava svolgendo un convegno degli “animalisti”. Il nostro pesante pullman, dopo soli 100 metri dalla partenza, in un piccolo incrocio, ha dovuto arrestare la sua corsa. Alcuni turisti si domandavano perché si era fermato il torpedone? Si era arrestato, perché un'autovettura con targa tedesca, era stata parcheggiata proprio sull’angolo dell’incrocio.  Don Enrico, si é subito dato da fare, e dopo poco tempo  é stato rintracciato il proprietario e così l’autovettura   fu rimossa. Ma i guai non terminarono lì. Poco più avanti, alla fine di una strada stretta che incrociava con un’altra strada, si é ripetuto la stessa cosa. Questa volta  é  stato necessario l’intervento di una “Gazzella” dei carabinieri, per appianare la situazione. Lo conosco da poco tempo, ma non ho mai visto così arrabbiato Don Enrico, come in quella occasione.  Intanto, il tempo passava, e il pesante autopullman era sempre fermo in mezzo alla strada e neanche le forze dell’ordine riuscivano a trovare il proprietario dell’automezzo incriminato. Finalmente, dopo quasi due ore di sosta forzata, l’autovettura é stata rimossa ed il nostro viaggio ha potuto proseguire verso la cittadina rivierasca di Stresa. Qualcuno della comitiva si é domandato: ma di chi era quell’autovettura di colore verde?  Era della moglie di un vigile urbano ed aveva i capelli biondi e gli occhi verdi. Quegli  occhi, sono rimasti impressi  in quelli del nostro parroco,  s’intende, in senso ironico...... Queste sono cose che fanno rabbia, e a volte, anche i preti  si lasciano trasportare dall’ira. Troppo spesso si dimentica che sotto l’abito, la veste talare, c’è sempre un uomo, con tutti i pregi e i difetti connaturali alla natura umana.

Ecco che cos’è il menefreghismo all’italiana, é l’indifferenza, la noncuranza assoluta delle leggi e delle disposizioni che regolano la vita di ogni giorno, e noi italiani, siamo maestri nel mantenere tale comportamento. Molto spesso,  siamo menefreghisti senza renderci conto di esserlo.

Dopo l’escursione di questo paradiso terrestre, dove regna l’arte, l’amore,  il silenzio, la pace e l’armonia dei colori, come fosse un meraviglioso quadro dipinto da un grande pittore, abbiamo raggiunto la cittadina di Stresa: un centro di soggiorno climatico sulla riva sinistra del lago Maggiore prospiciente le isole Borromee. La sua posizione e il panorama offerto dal suo lungolago, un vasto viale con  alberi giganteschi e aiuole fiorite, fiancheggiato da alberghi stupendi e ville  immerse nel verde, l’hanno resa una celeberrima località turistica più importante del lago. E poi, c’è la Villa Pallavicino: giardini e parco zoologico, famoso per la varietà di piante secolari e la bellezza dei suoi profumatissimi fiori. E’ pure animato da specie di animali che vivono in libertà. Stupendo “terrazzo” con archi e pergolati di rose, alternati a parterre fioriti.

STRESA:  CITTÀ AMATA DA HEMINGWAY.

Nella bella cittadina di Stresa, con le Isole Borromee (  Isola bella, dei pescatori, Isola madre),  passeggiando sul quel viale bellissimo e panoramico del lungolago, in un bar  davanti al  Grand Hotel des Iles Borromées, la comitiva dei Campitellesi, si é  fermata  per un piccolo ristoro. In quella pausa, abbiamo letto su di una targa  che nel Grand Hotel, vi soggiornò il grande scrittore Ernest Hemingwey e la sua compagna Catherine, nel periodo della Grande Guerra Mondiale. In quel tempo Ernest Hemingway,  era Tenente nell’Esercito americano e comandava una squadra di ambulanze, mentre la sua compagna svolgeva l’attività di infermiera negli ospedali militari. 

Conoscevamo questa storia, per averla letta nel suo libro - “Addio alle armi” - dove  egli descrive la bellezza dei luoghi e la meravigliosa licenza che stava trascorrendo in quell’angolo felice, in quel luogo incantato, lontano dalle brutture della guerra.

Egli, così incomincia: “ .... Non ho dimenticato il risveglio al mattino: Catherine che dormiva e la luce del sole nella stanza. Non pioveva più. Saltai dal letto e corsi alla finestra, il grande giardino dell’albergo era spoglio ma ancora più bello, vidi i sentieri di ghiaia, gli alberi e il muro di pietra lungo il lago, e l’acqua luminosa con le montagne nel fondo. Restavo lì, immobile, a guardare, e quando mi voltai Catherine era sveglia. Mi stava osservando”.

“Come stai, caro? ” Disse. “ Non ti pare una meravigliosa mattina?”

“ E tu come stai? ” “ Benissimo. Oh, é stata una bellissima notte”. “Hai fame?” Disse di si e anch’io avevo fame.

“Ci portarono la colazione a letto, col sole di novembre dentro la stanza. Il vassoio era posato sulle mie ginocchia.

“Non vuoi leggere il giornale? Lo cercavi sempre, all’ospedale.”

“No,” dissi. “ Non voglio più giornali.”

“ Ne hai passate tante che non vuoi più leggere giornali?”

“ Non ho più voglia di guerra”......

Egli trascorreva le sue giornate a pescare sul Lago. Così egli racconta una delle sue  battute di pesca con il barman: “Si mise qualche cosa addosso ed uscimmo. Prendemmo la barca. Stavo ai remi e il barman a poppa teneva la lenza, che oltre l’amo portava un peso che lo faceva affondare. Remai lungo la riva mentre il barman teneva la lenza, imprimendole a tratti delle scosse in avanti. Stresa dall’acqua appariva deserta, vedevamo i filari di alberi spogli e gli alberghi solenni, le ville dalle finestre chiuse. Remai verso l’Isola bella e arrivammo sotto le muraglie che calano a picco nel lago profondo, vedemmo i pendii rocciosi cercare il fondo nell’acqua limpida, e poi passammo lungo l’Isola dei Pescatori. Una grande nuvola copriva il sole e l’acqua era buia, levigata e freddissima. Non riuscimmo a prendere nemmeno un pesce benché, a volte, i cerchi sull’acqua avvertissero della loro presenza”.

Anche noi, come  Hemingway e migliaia di altri turisti godemmo di quel paesaggio incantato. Fin dal mattino , osservando quel meraviglioso paesaggio dalla rupe dove sorge l’eremo di S.Caterina del Sasso. Da quella posizione, osservavo la cittadina di Stresa  e  più oltre Pallanza, Boveno e le Isole Borromee, mi apparivano sfumate,  vedevo soltanto il contorno dei monti e la baia solenne.  Intravedevo i pendii rocciosi cercare il fondo nell’acqua limpida mentre il Monte Mottarone, stava lì superbamente a dominare le bellezze del lago Maggiore. Mentre osservavo questo paradiso, queste bellezze naturali, mi veniva in mente  la descrizione di Hemingway, dei suoi giorni felici e della tristezza della Grande Guerra.

Le pagine della storia mi rammentavano  la ritirata di Capretto, nel 1917 ( ottobre - novembre) gli Italiani furono sconfitti dagli Austro - Ungarici, e migliaia di soldati  disertarono e con questi anche il Tenente Hemingway, che si trovava in licenza di convalescenza proprio lì a Stresa. Egli, saputo dal cameriere del Grand Hotel che i carabinieri lo ricercavano perché non si era presentato allo scadere della licenza, preferì scappare su di una barca verso la Svizzera, che essere arrestato per diserzione e quindi, come prevede la legge marziale, in quel caso, sicuramente, sarebbe stato passato per le armi. Hemingway ha preferito vivere, dandosi alla fuga verso la Svizzera. 

“ Siete pronti?”

.... “Si curvò in avanti e ci spinse, affondai i remi nell’acqua e poi agitai una mano. Il barman agitò la propria con segni di scongiuro. Vedevo le luci dell’albergo e incominciai a remare puntando la poppa su quelle finché non sparimmo nel buio. Navigavamo come in un mare mosso seguendo il vento.

Remavo al buio con la faccia avvolta nel vento. La pioggia continuava a raffiche, era buio fitto e faceva freddo. Riuscivo ad intravedere Catherine ma non l’acqua dove si immergevano i remi che erano lunghi e senza sostegno. Davo lo strappo cercando di remare più leggermente che potevo. .... Ma no arrivammo mai alle luci di Pallanza. Il vento ci spinse più su e doppiammo nel buio la punta verso Intra. ..... “ Era cessata la pioggia in quella notte buia e fredda di novembre. Poi il vento strappò le nibbi così che apparve la luna e potei veder dietro di noi la Castagnola e il lago bianco di onde e più indietro la luna sopra la neve delle montagne, poi la luna sparì di nuovo sotto le nubi e non vidi più il lago né le montagne ma restava più chiaro di prima, e si scorgeva la sponda. La si scorgeva fin troppo”.

.... “Era giorno ormai e scendeva sottile la pioggia. Il vento continuava in favore e vedemmo le bianche cime delle onde precedenti nel risalire il lago. Non dubitavo più che eravamo in Svizzera. Si vedevano molte case dietro gli alberi della riva e, un poco più avanti, scorsi un paese con le case di pietra; c’erano ville sulle colline e una chiesa. Osservavo la strada lungo il lago se ci fossero guardie, ma non vidi nessuno. La strada si accostava sempre più al lago. Improvvisamente un soldato uscì da un caffè. Vestiva grigio - verde con un elmetto simile a quello dei tedeschi. Il viso pareva pieno di salute, e sulla labbra aveva baffetti a spazzolino. Ci guardò.

 “ Fagli segno,” dissi a Catherine. Agitò la mano e il soldato sorrise con imbarazzo, poi agitò la mano anche lui. Ci trovavamo dirimpetto al paese.

“Faremo una bella vita in Svizzera,”  dissi.

“ Siamo qui, caro, lo capisci che siamo qui?”

Entrammo nel caffè e sedemmo ad un tavolo di legno, era pulitissimo e ci sentivamo fuori di noi dal piacere. Una donna in grembiule, straordinariamente pulita anch’essa, si avvicinò e chiese cosa desideravamo.

“Panini, burro, prosciutto” disse Catherine.

“ Mi dispiace ma non abbiamo panini in tempo di guerra”.

 

Nella nostra escursione, con gli amici Campitellesi, abbiamo visitato la bella cittadina di  Stresa, da dove é incominciata la storia della fuga notturna verso la Svizzera del grande scrittore Ernest Hemingway e la sua Catherine. Dal capitolo che descrive la  fuga verso la libertà, abbiamo estratto alcuni brani, per raccontare e rendere maggiormente interessanti questi luoghi, che poi non era necessario, perché questi luoghi si descrivono da soli, dato la loro meravigliosa bellezza.

Se non ci fosse stato l’imprevisto delle autovetture parcheggiate di fronte alla Villa San Remigio, che ci hanno fatto perdere molto tempo, avremmo preso  quel battello bianco che navigava sulla direttrice delle isole Borromee ( Isola bella, dei pescatori, isola madre): ricche di giardini, di fiori, con il palazzo dei principi Borromeo, imparentati coi Borromeo di Arona dove é nato S. Carlo Borromeo nel 1458. Ma seduti in quel bar lungo la passeggiata, ci siamo accontentati di ammirare quelle bellissime isole  da lontano. Abbiamo sognato il  suggestivo il parco con piante e fiori esotici, in cui vivono in piena libertà pavoni bianchi, pappagalli e fagiani, dove pure é famosa  per la fioritura di azalee, camelie, rododendri.

Non c’era luogo migliore, per terminare questo nostro pellegrinaggio escursionistico, che stando seduti di fronte alle isole Borronee, immerse sulle sponde di questo dolcissimo lago Maggiore, terra d’incanto e di dolcezza, dove in ogni angolo c’è un paesaggio  da scoprire, e poi, é la terra prediletta di poeti ,  di grandi scrittori, come Fogazzaro ed Hemingway e dei  grandi pittori  dove trovano l’incanto e la bellezza per  rappresentare nei loro quadri.

Il sorgere del sole, é uno spettacolo meraviglioso, ma anche il tramonto non é da meno. Quando abbiamo lasciato la riva del lago Maggiore prospiciente le Isole Borromee, il cielo si era tinto di rosso e il sole sembrava legato ad un filo di lana, che da un momento all’altro dell’alto del cielo, presto si sarebbe  tuffato nella lucida  superficie del lago. Sul volto degli amici escursionisti, si poteva notare una certa stanchezza fisica, ma era mitigata dalla gioia del viaggio religioso, per devozione, in quel luogo sacro del Santuario di S. Caterina del Sasso, ma soprattutto per   aver trascorso una giornata diversa, una giornata bellissima, immersi in quel paradiso terrestre, tra stupende colline verdeggianti, tra cielo e lago, tra storia e leggenda, dove lo slancio mistico si eleva dalle cose sensibili, e mediante l’intuizione e il sentimento, cerca l’intima unione con Dio.

Questi luoghi, sono stati definiti la tavolozza di un grande pittore, ma sono anche un sogno da riscoprire e con lo stesso slancio da amare e da godere fino in fondo. Il nostro é stato un viaggio che si é rivelato, al tempo stesso, un pellegrinaggio nella memoria dell’uomo e nello stesso tempo un itinerario di purificazione.

Nell’ora quasi prossima al tramonto, seguendo le sponde del placito lago con la consapevolezza di aver capito quali sono le tre passioni che devono guidare la nostra vita: “ la pietà per il genere umano, la conquista dell’amore, la ricerca del sapere”.