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MONTI DELLA VAL DI FASSA

16 giugno 2002

Questa mattina, quando ci siamo alzati, era anche  buio pesto.  Sui rami  della magnolia, che é davanti alla finestra della nostra camera da letto, i passerotti, i merli e i fringuelli  da un pezzo avevano incominciato a cinguettare. L’orizzonte, verso levante, incominciava progressivamente a schiarirsi, mentre  nei fossi  dove svettano i lunghi filari dei pioppi si alzava una nebbialina bassa che piano piano andava ad invadere il resto della pianura. La Statale, che da Campitello porta a Mantova, era deserta e di tanto in tanto incrociavamo qualche autovettura di giovani ritardatari, di quelli che avevano trascorso la notte del  sabato sera nelle discoteche. Man mano che ci avvicinavamo verso Mantova, la nebbia nei campi aumentava ed in certi punti oscurava l’orizzonte, per poi sparire completamente.

IL SORGERE DEL SOLE

Quando siamo partiti dal piazzale Mondadori, il cielo incominciava  ad albeggiare e stava preparando le premesse per il sorgere del sole, che al di lì a poco incominciava la sua scesa verso il cielo. Subito fuori Mantova, quando  stavamo attraversando il ponte che divide il lago inferiore da quello di mezzo, il  grande disco del sole  incominciava a specchiarsi  nelle acque del Mincio che talvolta nel colore si rammentano d’essere state Garda, ma che più spesso hanno la mutevole luce dell’acciaio. Visione eminentemente virgiliana. Guardando verso sinistra, ti da l’esatta sensazione di quella Mantova  medioevale. Un profilo basso, allungato, solo segnato dall’elevarsi d’alcune torri che si rinserrano quasi a protezione dell’alta cupola centrale che tutto domina; non colori freddi  della notte, ma colori vivaci del primo sole che ti dava la  sensazione che sorgesse delle acque fredde del lago.

E’ meraviglioso guardare il sole quando sta per sorgere, in quel preciso momento quando inizia il cammino di ascesa nel cielo azzurro. Attraverso il finestrino del torpedone che ci stava portando verso le Dolomiti, non facevo altro che ammirare come estasiato questo fenomeno celeste ed il suo lento progredire, l’elevarsi da terra, ergersi, innalzassi. Ti rendi subito conto che in quell’attimo, tutta la natura é in subbuglio e fremente, intuisci quasi il fremito dei lunghi filari dei pioppi tremolanti, dell’erba e delle messi che si scuotevano al risveglio della madre natura. In quell’attimo, mi dava la sensazione di ascoltare il fremito delle onde del mare d’erba della grande pianura, come pure del mare quasi in tempesta; il fremito delle piante di una foresta, il cinguettio prolungato degli uccelli che saltellano da un ramo all’altro. Anche il mio animo era in preda ad un sentimento, ad un sentimento di gioia, ad una sensazione interiore, ad un moto dell’anima.

La visione di quel quadro metafisico che stavo osservando, che derivava dalla combinazione della massa grigiastra dovuta alla nebbialina che stagnava verso l’orizzonte e le striature crepuscolari sfumate nei contorni e dimesse nei toni, ti dava un senso vago,  di quella luce incerta e indefinita che spunta prima del sorgere del sole. Quel quadro meraviglioso che stavo osservando, quel quadro metafisico e lunare, che era lontano della realtà, la sua bellezza era dovuta appunto alle luci del crepuscolo.

Le stesse sensazioni li provai alcuni anni fa negli Stati Uniti d’America, in occasione di un lungo giro escursionistico nel Sud Ovest di quel grande e meraviglioso Paese. Ricordo che una notte stellata del mese di agosto, in quella immensa pianura desertica che precede il Grand Canyon. Anche quella volta, il mio animo rimasi scosso da quel fremito, da quella sensazione interiore, mentre osservavo quasi rapito in estasi in mezzo a quella calma solenne che precede il sorgere del sole: un punto luminoso, un raggio infuocato, come un dardo, come un razzo, si accese sull’estremo oriente, entro quell’aureola sanguigna. Anche quella volta, l’aria, le piante, le erbe quasi secche, anzi erano secche per l’elevata temperatura di quell’estate particolarmente torrida,  erano scosse da un fremito; tutto l’universo parve allora animarsi.

“ Quel punto dardeggiante s'ingrossava; la sua luce, d’un azzurro indescrivibile, più decisa apparisce di momento  e segna, con la sua base, il confine tra l’immensa prateria e le cime coloratissime del Grand Canyon e il cielo.... E cresceva .... E pigliava la forma di un disco tersissimo di acciaio, immerso a metà nell’ombra delle alte cime colorate, di cui si andava levando, levando, sotto un cielo divenuto azzurro, in faccia ad una terra aspra e selvaggio del deserto, ove la luce sembrava piovere a onde sempre crescenti. Dal piccolo terrazzo del grande e quasi vetusto edificio in legno: un edificio costruito nel 1800, dove la comitiva dei mantovani  stavamo trascorrendo la notte, potevo vedere una lunga fila di muli, legati uno all’altro, con a fianco gli indiani che salivano dalle visceri del Grand Canyon, dove sulle sponde rocciose del fiume, a duemila metri di profondità, sorge un villaggio indiano. Il loro viso quasi scuro, aveva il colore della terra bruciata, era reso più lucente dai primi raggi del sole nascente. Quello fu uno spettacolo che mi riempì di gioia, era il principio di un altro giorno in quelle terre desertiche, dove ogni cosa assume un’altra prospettiva, un’altra dimensione che sfiora la realtà delle cose.

A. Stoppani, nel suo libro “ il bel Paese”, Vallardi, Milano, 1948, così descrive questo meraviglioso spettacolo: “ Il sorgere del sole, é uno spettacolo bellissimo e sono fortunatissimi quelli che lo scorgono al mattino affacciarsi alle vette delle Prealpi, e a nascondersi la sera dietro le nevose propaggini del Monte Rosa. Ma vederlo sorgere dal mare, tuffarsi in mare ... Misurare tutta l’immensa sua via..... Ah! E’ un vero spettacolo che riempie veramente l’anima”.

Lo scrittore, aveva veramente ragione di affermare tutto questo. Mentre io non potrò  mai dimenticare l’aurora boreale, quel fenomeno luminosissimo che si può osservare nelle regioni polari settentrionali. Nel viaggio di ritorno dall'Occidente americano, da   dodici  mila metri  di quota, dal finestrino del gigantesco aereo, ho osservato quel colore rosato che assume il cielo a oriente prima del sorgere del sole. Da quella quota, osservare i ghiacci, ti da la sensazione di vedere una immenso pianura disseminata di batuffoli di cotone. Non sapevo che cosa fosse, ma l’hostess del Boeing 747 della TWA: un’esile e bellissima giovane donna di colore, con gli occhi da cerbiatto, mi disse che quella bellissima colorazione celeste, era dovuta all’aurora boreale e quell’immensa pianura bianca, costituita da piccoli batuffoli di cotone, altro non  fosse che   la  distesa galleggiante di ghiacci dei mari polari. Lasciamo queste meravigliose impressioni, questi ricordi, queste rimembranze e ritorniamo alla nostra escursione  nella Val di Fassa, dove il nostro torpedone era diretto.

La Valle della magnifica comunità.

 L’ampia e verde Val di Fiemme é la “Porta” di maggiore importanza che dal versante trentino ci introduce nel nucleo principale delle Dolomiti.

E’ una valle occupata da numerosi e ridenti abitati, sparsi nel suggestivo scenario dei suoi boschi e prati alpini, su un altezza costante di circa mille metri. Cavalese é la borgata principale di questa comunità fiemmese che nel segno di un nobile passato, offre oggi la sua qualificata capacità di residenza estiva ed invernale. In questo quadro di Fiemme, spiccano altri famosi nuclei abitati come Predazzo che assieme ai suoi dintorni, risulta di fama mondiale per la conformazione geologica del suolo e per i suoi minerali, che costituiscono un grande museo naturalistico.

Questi noti centri che stiamo attraversando  e  che abbiamo più volte attraversato, oltre che distinguersi per le loro caratteristiche, agevolano felicemente il contatto con la maestosa natura che in alta quota corona la valle. Quassù fra le molte e miste espressioni, la più imponente e dolomitica é data dal Gruppo del Latemar che spicca per l’originale varietà d'aspetti. Come quasi in tutti i gruppi dolomitici i due versanti di questo complesso montuoso, appaiono assai diversi. Ad oriente anche se dirupato, il Latemar manifesta con i suoi brulli gropponi un aspetto dolce e di indole buona.  Dario Scarpa, nel suo libro “ Dolomiti”, così lo definisce: “ Nella parte occidentale la sua mole si può definire selvaggia ed elegante per la ricchezza di turrite pareti che segnate da aspri canaloni, scendono a picco nel vuoto. Fatta eccezione per alcune vie di salita facili e meritevoli, il generale aspetto impervio del Latemar e la famiglia delle sue conformazioni rocciose, ha tenuto sempre un po' lontano gli escursionisti e gli alpinisti”.

Quando il pesante torpedone stava percorrendo il settore della valle percorsa dall’Avisio, che prende il nome di Val di Fiemme: i suoi limiti sono il Lago di Stramentizo a valle e Moena a monte; più oltre si apre la Val di Fassa ed il sole faceva capolino da dietro le alte montagne dolomitiche. Stavamo percorrendo estesi pascoli terrazzati, vasti prati  di un verde particolare e un patrimonio forestale d’eccezione costituiscono gli elementi fondamentali del paesaggio, dominato a sud da una delle più solitarie catene dolomitiche, quella dei Lagorai. Come al nostro solito, anche questa volta, ci vogliamo soffermare brevemente sulla storia di questa meravigliosa località montana.

La storia di questa valle é esemplare per quel che concerne la gestione dell’ambiente. Nel 1110, con riconoscimento vescovile, veniva sancito l’atto costitutivo della Magnifica Comunità della Val di Fiemme. Con quel documento gran parte dei magnifici boschi e delle foreste diventavano di proprietà collettiva: da allora ogni prelievo di legname é stato accortamente calibrato per consentire il naturale rinnovamento del manto forestale, primaria fonte di reddito per le popolazioni locali. Dopo quest’inciso, veniamo alla nostra escursione nella Val di Fassa.

Dopo l’attraversamento della  linda cittadina di Moena, il torpedone si é diretto in Val di Fassa. Raggiunta Pozza, si entra   a Meida  e nella località dove sorge il ristorante Soldanella, che é ubicato a 1415 metri di quota, e in  nell’ampio piazzola  si é fermato. Da qui, a piedi, abbiamo percorso per circa 2 chilometri la strada asfaltata della pittoresca Val S. Nicolò fino a alla Malga Crocifisso m. 1526. Pochi metri oltre, la strada carreggiata che, a destra, sale ai Monzoni, da dove parte  il sentiero 603 che corre in parallelo alla strada  evitando alcuni tornanti per un lungo tratto, per riprendere più su la strada stessa. Il sentiero costeggia il torrente e s’immerge nel cuore di una meravigliosa abetaia. Giunti al Ponte de Ciamp, un ponte costruito tutto in legno, sotto il quale corre il torrente che nel corso degli anni, ha scavato nella viva roccia  un orrido molto profondo. A questo punto , il lungo serpentone colorato, si é diviso in tre squadre. Il sentiero 614 che, abbastanza rapidamente, sale  alla forcella dal Pief m. 2185; dalla forcella si scende in pochi minuti ai laghetti del Lagusel m.2103. I laghetti del Lagusel si trovano in una posizione splendida da dove si possono ammirare meravigliosi panorami. A nord la vista é dominata dalla parete sud della Marmolada, mentre a Sud si può ammirare il gruppo dei Monzoni. A questo punto il primo gruppo si é frazionato in due squadre: la prima, composta da giovani e promettenti escursionisti del CAI, ha scelto la variante: una volta giunti alla forcella Pief , hanno proseguito sul sentiero 641. Superato la Sella Pallaccia m. 2259, che scende in fondo alla Val S. Nicolò poco oltre la Baita Ciampiè.

La terza squadra, composta dal sottoscritto, da Adriana mia moglie, dalle “caine” Marisa, Maria e Terzilla, che non abbiamo voluto salire ai laghetti, una volta giunti all’inizio del sentiero 641, abbiamo proseguito dritti per la Valle dei Monzoni . Con una grande gioia nel cuore, continuiamo a salire, passo dopo passo, senza strafare, seguendo il sentiero forestale che porta verso le vette chiazzate di neve, dove pascolavano indisturbati i camosci. Per questo sentiero passarono migliaia di escursionisti prima di noi per raggiungere  le montagne scoscesi del Gruppo Monzoni. Ogni tanto mi fermavo ed interrogavo me stesso sul mistero della vita e della Madre natura,  forse cercavo, osservando quegli spazi, quegli scenari dolomitici e cercavo di   rammentare il pensiero del grande poeta Leopardi, gli “interminati spazi” e i “ sovrumani silenzi” della natura alla quiete di questi luoghi, dove i rumori del mondo giungono smorzati, quasi leggeri come sussurri.

 Superato il piccolo rifugio dei Monzoni, gestito da “ Nello”, ci siamo spinti oltre la Baita Monzoni, che é situata a quota 1836, é una conca splendida in mezzo al bosco circondata da maestosi gruppi di montagne dolomitiche.

Stando seduti nel pianoro della Baita Monzoni, potevi osservare uno spettacolo d’insuperabile bellezza di quelle forme rocciose, i caldi colori che le dipingono specialmente nell’ora del crepuscolo, sono i principali motivi che hanno spinto a denominare la zona centrale del gruppo “Giardino delle Rose”. La serie di stupende immagini che  abbiamo ammirato vuole appunto confermare quanto sia appropriata tale denominazione.

Il nostro meritato spuntino, lo abbiamo consumato nel piccolo rifugio “ Monzoni”, gestito dal signor Nello: una simpatica ed estroversa persona, che con il suo modo di fare, ti fa dimenticare la fatica della lunga camminata attraverso i boschi. Egli  si potrebbe definire un pianoro della Valle dei Monzoni. Infatti, da quando ha costruito con le sue mani il minuscolo e rustico  rifugio, conduce una vita semplice, una vita da eremita al contatto con la natura. Di tanto in tanto, scende in paese soltanto per le provviste, altrimenti vive tutto l’anno in quella magnifica valle. Nello, non vive da solo, é coadiuvato da  sua moglie: una signora di origine marocchina, che si é inserita magnificamente in quella comunità della Val di Fassa.  Oltre ad essere una bella signora, é anche una buona cuoca. Si vede proprio che i tempi sono cambiati, non avrei mai pensato di trovare fra queste montagne una donna marocchina. Ormai il nostro Paese é diventato multi etnico, ma di extra comunitari su queste montagne dolomitiche non ne avevamo ancora visti.

Le Dolomiti e la Monument Vally.

Mentre ero seduto  nel prato verde della Valle dei Monzoni, e stavo ammirando le alte cime del Gruppo del Latemer e la Val di Tires: il suo nome é tratto dall’imponente forma di grande catino che caratterizza la cima principale. Originariamente nel dialetto ladino era  invece chiamato Vaèl che tradotto semplicemente significa solco profondo. Ultimamente il nominativo regale di Rosengarden ( Giardino delle Rose), mi é venuto di fare una similitudine con le guglie de La Monument Vally. Se analizziamo la loro derivazione, possiamo dire che questi campanili nel deserto, hanno avuto le stesse origini delle nostre montagne dolomitiche. Come sappiamo, le Dolomiti emersero dai flutti di un profondo mare sotto forma di un fantastico paesaggio chiazzato di scuro e di verde. Oggi, le loro superbe e rosee vette puntano dritte al cielo e sembrano poi veleggiare nell’aria pura di un silenzioso ed infinito spazio.

Alcuni anni fa, nel cuore del deserto  dell'Arizona con lo Utah, che é caratterizzato da un ampio territorio desertico, dove la temperatura, nel mese di agosto, si aggirava sui 45 -50 gradi, con imponenti monoliti ( mesas) di origine antichissima, come le nostre Dolomiti  La Monument Valley, é una depressione argillosa, famosa per essere stata il set di “ Ombre Rosse”, dove si osservano gli enormi “ camini” di arenaria, tufo e calcare alti sino a 610 metri. Immergendosi nella vallata si é dolcemente sopraffatti da questo ambiente unico. Queste montagne appartenenti al Grande Plateau del Colorado hanno una storia memorabile: erano infatti in epoca remota i fondali dell’oceano che gradatamente vennero abbandonati dalle acque nel periodo in cui la terra cambiò il suo asse. Dolcemente e con pazienza il vento, la pioggia e le tempeste hanno eroso queste montagne che nel loro processo di sfaldamento mostrano al loro interno la loro molteplice composizione. Qui la natura insiste nel ricordarci che l’uomo é solo una piccola parte del mondo. Percorrendo i 25 chilometri della strada dissestata ci si sente sopraffatti dai cumuli  scolpiti, dai grandi archi che si stagliano nel cielo azzurro, dagli enormi monoliti di arenaria, che rossi come il fuoco, ci narrano che la loro semplice presenza la storia di tante trasformazioni subite dall’antica terra. Di qui sorgono gli “ hogan”, un abitazione tipica costruita con l’argilla e il legno di ginepro, dai Navajo che vivevano qui, indisturbati e restii ad accettare la civiltà e la civilizzazione dell’uomo bianco. La Monument Vally non ha bisogno di parole, come pure le nostre  meravigliose Dolomiti: é un sogno che si aprirà davanti ai nostri occhi, c’è qualcosa di magico nei colori del cielo, nella forma delle montagne, nelle rocce scolpite dal vento che la natura ha trasformato in strane figure divenute parte di leggende, fantasiose e affascinanti, delle tribù Navajo. Non certo un popolo di guerrieri, ma persone molto schive, riservate, spirituali, dotate di un animo profondo, contemplativo e sensibile. La Monument Valley é il paradiso delle luci calde e radenti, delle ombre sulla sabbia bruciata dal sole, delle sagome dei fantasmi geologici che le mese isolate sanno offrire.

Ricordo che in una radura infuocata dal sole, all’ombra di uno di quei “ camini” di arenaria che svettano verso il cielo, sorgeva un “ hogan”, un’abitazione tipica degli indiani. Ci siamo fermati, e che cosa abbiamo trovato? Un piccolo e rustico bar, una specie di rifugio costruito in legno e fango, che rispecchiava quello della Valle dei Monzoni. Dopo una settimana di escursioni nell’America dell’Ovest, finalmente in quella piccola “ hogan”, abbiamo potuto rifocillarci e degustare una tazza di vero caffè, ma che caffè! Un caffè espresso all’italiana, il famoso caffè Illy. Ci eravamo quasi dimenticati del caffè all’italiana, eravamo abituati ormai a bere quelle lunghe brodaglie di caffè americano che non pensavamo minimamente, che in quella “ hogan”, in mezzo a quel deserto infuocato, potesse esistere una macchina espressa costruita in Italia. Comunque, non c’è nessun paragone fra queste meravigliose vallate verdi, fra queste montagne solcate da queruli ruscelli e, poi, vi sono  gli arditi profili, rocce articolate, creste bizzarramente sagomate e frastagliate che risultano ovunque in primo piano spesso assumendo l’incantevole aspetto di una fiabesca e capricciosa ricostruzione. Molto complesso sarebbe definire minuziosamente la struttura geologica di questi gruppi montuosi. Le origini sono le stesse di quelle cattedrali nel deserto della Monument Valey, ma le Dolomiti si differenziano nettamente da quelle formazioni arenarie, quelle dolomitiche sono formazioni calcaree, poiché sono composte da un’insieme di doppio carbonato di calcio e magnesio chiamato “ dolomia”. Il loro nome  é legato al famoso geologo Dèodat de Dolomieu che nel 1789 analizzò per primo tale composizione. Circa settanta milioni di anni fa, le Dolomiti, al pari di quei pinnacoli infuocati  e sgretolate dal sole di quel deserto, emersero dai flutti di un profondo mare sotto forma di un fantastico paesaggio chiazzato di  scuro e di verde. Oggi, come abbiamo detto sopra,  le loro superbe e rosee vette puntano dritte al cielo e sembrano poi veleggiare nell’aria pura di un silenzioso ed infinito spazio. Osservando queste superbe cime baciate dal sole, mi rammentano una semplice poesia di Italo Morante, che così recita:

Poesia: Oltre ogni vetta.

“Là, su quel libretto sgualcito/nascosta fra le rocce, sotto la croce, /tra fantasia e realtà, /vorrei  scriver:/ lasciatemi  quassù. /Ove il pensiero del piano mi duole. /Ovunque lo sguardo volgi é l’infinito/e le bianche vette e i picchi intorno /fan corona. /Le brume salgono dalla valle scura/al primo sole, mentre/al risveglio l’eco della mandria /risuona.  /Lasciatemi quassù, /ove il silenzio di pensieri s’affolla/e l’amico, che non é più /ti dice dei trascorsi eventi. /Gioia, dolore, riso e lacrime si accompagnano/al ricordo e tacciano le miserie umane. /Sopra di te nulla sovrasta se non l’universo, /spazia il pensiero/e, dimentico d’ogni viltà e dell’altrui offesa, /Gioisci. /Lasciatemi quassù”.

 Ma questi silenzi , questa pace e questi infiniti spazi, sono interrotti soltanto dai queruli ruscelli che solcano la Val San Nicolò. Questo ruscello, più a valle diventerà un fiume impetuoso, il fiume della vita. Pensando a questo giovane ruscello, mi viene in mente un brano di Romano Battaglia, che ho letto nel suo libro “ Il fiume della vita”. Egli così scrive: “ La vita é come l’acqua: non può tornare sui suoi passi. Bisogna capire il suo significato nel presente. Vi é in ogni essere umano qualcosa che nessun altro ha e che solo il Creatore della vita conosce ed é in grado di donare.

“L’uomo é sempre stato l’artefice del proprio destino, perché  é libero e può usare la libertà come meglio crede.

“Spesso le persone cercano di dare un senso alla loro esistenza, ma la vita é difficile e la disperazione, l’angoscia e la tristezza sono sempre in agguato. L’unico  rimedio infallibile per estirpare il male dall’animo dell’uomo e riportarlo alla sua originaria purezza é la preghiera. Pregare é elevarsi, é trascendere la materia e viaggiare con la mente verso un punto indefinito dell’universo che non ha nome.

“Non importa rivolgersi direttamente a Dio, basta osservare i tesori della madre natura per comprendere la religiosità di ogni cosa, intanto Lui é dappertutto e aspetta le singole preghiere di ognuno di noi. Perché non rivolgi le tue devozioni alla Madonna della Montagna , in queste valli, sorgono tante linde e antiche  chiesette ? La Madonna ha compiuto tanti miracoli, potrà aiutare anche te.

 Parole molto belle e significative, parole che  rispecchiano nel nostro animo un profondo significato della religiosità della vita. Eppure, anche  se noi non lo vediamo Lui c’è. Lo dice l’universo. Lo dicono  queste meravigliose montagne dolomitiche, lo dicono le stelle, il sole, la luna. Lo dice l’acqua di questo giovane  e chiassoso ruscello che scorre in questa ombrosa valle donando la vita senza chiedere niente. Tutto quello che ci circonda é religiosità, é verità, é pace e nello stesso tempo é vita.

Alla fine della nostra giornata escursionistica,  trascorsa in mezzo alla Madre natura, abbiamo pensato spesso alla spiritualità della vita. Nell’attesa che giungesse  la squadra dei giovani, ci siamo fermati un solo momento davanti al piccolo altare del chiesetta in stile gotico della Malga Crocifisso e abbiamo recitato una semplice preghiera, una preghiera che recita pressappoco così:

“ Oh Signore, che sei su quella croce, accettami, così come sono. Io non so pregare come un sacerdote o un frate e non conosco  neppure la teologia , sono una semplice creatura che recitare le semplici preghiere, quelle preghiere che ha imparato nella fanciullezza. Dammi ogni tanto la tua mano, se puoi, perché a volte su questi aspri sentieri mi sento quasi sperduto. Si, lo so, Tu hai ragione, non sempre mi rivolgo a Te con convinzione e con vero amore. Lo faccio per sicurezza, per sentirmi più sereno, più forte. E’ lo sbaglio che fanno in molti su questa Terra meravigliosa che Tu hai salvato. Ho tante cose da dirti e il tempo se ne va così in fretta. Ma se sono qui é perché sento il Tuo amore e sono sicuro che anche Tu un poco mi ami così come sono. Non ho mai pensato alla religiosità delle cose come adesso, forse perché incomincio a sentire il peso degli anni? Fra qualche giorno, non molto lontano,  ricorrerà il mio genetliaco, compio il 75 esimo  anno di età, per questo ti voglio ringraziare, per avermi dato la forza di salire fin quassù, in questa città fantastica, prodotta dalla natura in milioni di anni. Più io cammino, più queste cattedrali di dolomia diventano enormi, il cielo non è più altro che una corsa verso l’alto di campanili, torri, colonne dal colore di una sabbia rosata. In ogni piccola sosta, mi fermo, guardo intorno e mi domando: ma chi se non Tu, abbia creato tutto questo meraviglioso spettacolo? Poi ritorno a percorrere  il viottolo immerso nella frescura della boscaglia. Mi sembra di sognare e in questo sogno ad occhi aperti avverto, attraverso un piccolo cespuglio fiorito di essere in una città fantasma. Il contrasto tra questa meravigliosa natura e il paesaggio urbano appena scomparso dalla mia visione, non potrebbe essere più impressionante.

Ma poi,  all’improvviso, sull’argine del sentiero fra ciuffi d’erba selvatica,  spunta una meravigliosa pianticella  dai fiori azzurri come il cielo, come il mare e la città riappare, vedo lunghe gallerie, palazzi in rovina  di mattoni rossi corrosi dal tempo. Ci sono piazze monumentali su cui si affacciano palazzi giganteschi, nel cui stile architettonico si mescolano senza ordine il barocco, il neoclassico, il moresco. Barocche sono le superfici mosse  e ondose delle facciate, neoclassici certi pronai incombenti e certe file infine di colonne dai capitelli corinzi, moresche infine certe torri e certe cupole dorate, smisuratamente larghe. Ma c’è una cosa che voglio dirti, fra quella meravigliosa città fantasma, c’è moltissima gente che non é felice, é gente triste senza un futuro e senza un presente, gente che è ancora alla ricerca alla via giusta da percorrere.

Il poeta così scrive: “ Io canto per allontanare l’infelicità di chi piange. Io canto per alleviare i dolori dell’umanità”.

 “ A volte vengo da Te confuso e sbadato, pensando ad  altro e mille pensieri mi allontanano. E’, questo, vero amore, oppure é una specie d’amore che vuole soltanto sicurezza? Se sono qui é perché ho bisogno di Te, della Tua visione, della tua presenza”.

 Uscendo dalla bianca chiesetta gotica della Malga Crocifisso, dove ho piegato il ginocchio per devozione e in profondo rispetto verso il Creatore del mondo, ho domandato al torrente quasi impetuoso, se lungo il suo corso la gente vive nell’oblio e dimentica quello che accade nel resto del mondo.

........ “No”, risponde. “ Sono informati di tutto perché ci sono alberi magnetici capaci di captare storie e avvenimenti infinitamente lontani. Le immagini compaiono fra i rami, dove le foglie fanno da schermo e ogni albero ha immagini diverse.

“ Gli alberi trasmettono tutto quello che accade nel mondo e soprattutto quello che accadrà il giorno dopo, in modo che ciascuno regoli la propria vita. Grazie agli alberi magnetici, in un lontano passato, hanno potuto seguire tutte le fasi di un grande esodo dei popoli della terra, prima che, nella sua parte orientale, il globo terrestre venisse colpito da un grave cataclisma. Hanno visto il giorno della nascita di Gesù e il terribile giorno della Sua crocifissione. Sono immagini perdute nella notte dei tempi, ma di tanto in tanto lungo il fiume vengono ricordate per far conoscere alle nuove generazioni i grandi avvenimenti del nostro pianeta.....

.... Lungo le rive del fiume puoi trovare sia l’albero dei grandi, con storie importanti della vita, sia l’albero dei bambini, sulle cui foglie sono scritte soltanto favole dolcissime.....”

Così faceva a scrivere  il poeta:

.... “ La vita sarebbe una eterna tristezza,

Se non ci fosse la poesia. Essa ci da un’età

Dell’oro che non invecchia, una primavera

Che non finisce, una felicità senza

Nubi, una eterna giovinezza.....”