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IL GIALLO DI COGNE 

Nelle pagine precedenti, abbiamo parlato di alcuni grandi viaggiatori dell’Ottocento e del Novecento, che hanno attraversato il nostro Paese, in lungo e in largo, e con le loro opere, hanno fatto conoscere al mondo intero le bellezze paesaggistiche, l’arte e la storia, nonché i tesori della Magna Grecia e dei Romani. Noi, siamo o meglio dire, ci consideriamo i viaggiatori dell’Era moderna, più che viaggiatori, sarebbe meglio definirci gli escursionisti della domenica,  che come loro, andiamo alla scoperta dei luoghi che non abbiamo ancora conosciuti, e che aspettano la massa dei vacanzieri di essere scoperti. Oggi, siamo giunti fin quassù a Cogne, con il pensiero e con il ricordo, per rivisitare  questo luogo meraviglioso, un luogo da sogno o meglio dire, un luogo paradisiaco, perché nasce alla pendici del Gran Paradiso. Pur troppo, questo nostro viaggio, non é come gli altri viaggi escursinistici e immersi nella bellezza  della natura, ma cerchiamo di commentare un evento triste: il delitto atroce di un bambino.

IL  BORGO DI COGNE.

Apriamo questo nostro primo intervento con una agghiacciante e gravissima notizia di cronaca, di cui i Mass Media ne hanno diffusamente parlato e continuano a parlarne di questo fatto di sangue, ci ha riportati con il pensiero al piccolo borgo medioevale di Cogne, una località da noi conosciuta per esserci stati più volte. L’ultima volta che ci siamo stati a Cogne, fu l’anno scorso nel mese di Febbraio, con i nostri amici sciatori di fondo del Cai di Mantova.

 Cogne, é un piccolo borgo medioevale, che sorge in un pianoro, alle pendici del Gran Paradiso: un grumo di case, di stradine acciottolate, vicoli e vicoletti costruite attorno alla chiesa parrocchiale: case annerite dal tempo, con i tetti di ardesia e costruite dalle pietre granitiche scavate nella grande montagna  e da tronchi di legno delle loro foreste. Oltre che essere un borgo di pietra e di legno, con una miriade di camini fumanti, é, anzi, lo era, fino quaranta giorni fa, data sotto la quale, una mano assassina  ha ammazzato il piccolo Samuele, nel proprio letto. Da quel giorno, quel piccolo borgo fatto di pietra e di legno, ha cessato di essere il paese delle fate, il “ Paradiso terrestre”, come noi lo avevamo definito fin dalla prima volta che lo abbiamo visto.  Un paese silenzioso, dove si sentiva solo il cinguettio degli uccelli neri posati sopra i camini affumicati e dove regnava tanta pace e soprattutto tanta tranquillità. Ora, quella pace, quell’equilibrio nel quale nessun prevaleva fra gli altri, non  c’è più, c’è solo tanto dolore , tristezza e rabbia.

LA VALLE DEL GRAN PARADISO.

Gli abitanti di Cogne, si conoscono uno ad uno, e forse, la maggioranza degli abitanti, sono anche parenti. Le donne  si recano a messa oppure a fare la spesa, ma lasciavano sempre la porta dell’uscio aperta, perché in quel villaggio non é mai successo niente, neanche il più piccolo furto. All’improvviso, come una valanga, un fulmine a ciel sereno ha sconvolto gli abitanti di quel piccolo e silenzioso villaggio di minatori e di montanari, é successo il più atroce delitto, un delitto senza precedenti per Cogne e l’intera vallata del Gran Paradiso.  L’uccisione di un bambino nel proprio letto, mentre la madre  era momentaneamente uscita per accompagnare il fratellino maggiore alla fermata del “ Scuola Bus”, che dalla sua abitazione, dista poco meno di  un centinaio di  metri.

 Il GRAVE FATTO DI SANGUE.

Da vecchio maresciallo dell’Arma, comandante di stazione distaccata, mi sono fatto molte domande su questo strano episodio, ma non ho mai trovato le risposte giuste, perché l’assassinio di un bambino non porta quasi mai all’identificazione di un eventuale e crudele omicida. Questi gravi fatti di sangue, in genere si consumano all’interno della famiglia stessa da una mente probabilmente malata. Se io fossi in servizio e Cogne, e se questo paese dipendesse dalla mia giurisdizione, le mie indagini sarebbero partite  appunto dal focolare domestico, come del resto hanno fatto i miei colleghi di quella stazione.  Veniamo ai fatti del delitto di Cogne. Alle ore 8,24 del 30 Gennaio 2002, in una villetta di Montroz, frazione di Cogne, Annamaria Franzoni, 31 anni, trova il figlio di tre anni, Samuele, in un lago di sangue nel letto matrimoniale. Il piccolo muore in eliambulanza nel trasporto all’ospedale di Aosta. Secondo la madre sarebbe stato ucciso mentre lei era fuori con il figlio maggiore alla fermata dell’autobus. Il 31 gennaio arrivano i carabinieri del Ris di Parma, per un sopralluogo nella villetta della famiglia Lorenzi. Nei giorni successivi i militari scaveranno con pale e picconi nel giardino e nell’orto adiacenti la casa alla ricerca di prove e soprattutto, dell’arma del delitto. Saranno ispezionati anche i tubi di scarico e la condotta delle fognature e, persino, la canna fumaria del camino, ma fino ad oggi, l’arma del delitto é introvabile.

Carlo Federico Grosso diventa il legale dei Lorenzi. Gli interrogatori formali degli indiziati e dei probabili testimoni ( informazioni testimoniali sulla conoscenza dei fatti) sono già incominciati. I primi ad essere sentiti sono i genitori di Samuele, come richiede la prassi investigativa, poi anche l’amica di famiglia e psichiatra Ada Satragni. Conduce le indagine il sostituto procuratore Stefania Cugge, affiancata dal capo della Procura Maria Del Savio Bonaudo.

Francesco Viglino, per la Procura, con i periti di parte, Carlo Torre e Carlo Robino, esegue la seconda autopsia sul cadavere del bambino che conferma come sia stato colpito 17 volte con un corpo contundente acuminato. La prima autopsia, l’indomani del delitto, aveva evidenziato , 15 - 20 ferite con arma da taglio.

L’atto d’accusa : inchiodata da zoccoli e pigiama  sporchi del  sangue del bambino. Le motivazioni del gip: qualcuno l’ha aiutata a nascondere l’arma. Su questo argomento sarà sentita la psichiatra Satragni, che é stata la prima ad intervenire sul luogo del delitto.

Il pigiama, gli zoccoli, la prima di una lunga serie di indizi che portano  al probabile autore del delitto.

“Un pigiama da donna di colore azzurro con disegni fantasia sul davanti composto da pantaloni e maglia; un paio di zoccoli ortopedici da donna in plastica  di colore bianco, del tipo usato in ospedale, marca Flyfiot; un badile completo di manico in legno”. Sequestro eseguito il 31  gennaio alle ore 19 “ nell’abitazione di Lorenzi Stefano, in Cogne frazione Montroz nr.10.

LE INDAGINI.

 Gli inquirenti così scrivono sul verbale: “ Si  da atto che al nostro arrivo, i pantaloni, la canottiera, la maglia ed i calzini erano già stati collocati all’interno di una busta in nylon mentre i rimanenti  capi sono stati richiesti al momento”. “I capi di abbigliamento ci sono stati consegnati su nostra richiesta alle ore 14,10 odierne dalla stessa sig. Franzoni Annamaria mentre si trovava presso l’attuale domicilio in Cogne, frazione  Lillaz 82 presso il residence “ Cascate”. Il sequestro viene operato per la possibilità che sui capi, come sul pigiama e  gli zoccoli, possono rinvenirsi tracce  utili alle indagini per cui si procede”. Il verbale di sequestro viene chiuso alle ore 16,05 del 2 febbraio. Quasi quattro ore dopo il delitto.

Risulta che pochi minuti dopo il delitto, Annamaria  disse al marito: “Stefano, facciamo un altro figlio e andiamo via”. Questa  richiesta, se é vera, secondo noi, é una richiesta insensata e fuori posto, dato il delicato momento in cui si trovavano i due coniugi. Questa richiesta poteva essere fatta sola da una donna psicamente e  patologicamente malata. Secondo i psicologi e i criminologi, la sig. Annamaria, é probabilmente affetta da “patologia della “certezza” o da quella “dissociativa”.  Da qui il movente dell’atroce delitto: era stressata e fin dalle prime ore del mattino aveva accusato tali sintomi, tanto che aveva consultato la  psichiatra e amica di famiglia, dottoressa Satragni.

La convinzione del gip: “ Annamaria ha ucciso Samuele, poi si é cambiata d’abito. Il movente: era stressata o il bimbo piangeva troppo”. Senza dubbio, uno o più complici forse l’hanno coperta”. 

Per giorni e giorni, gli inquirenti hanno cercato l’arma del delitto, quell’arma impropria che ha ucciso Samuele, che non fu mai trovata. Oggi si parla  del misterioso candelabro.  Per il momento rimane solo un delitto. Un piccolo cadavere. Nessun’arma. E’ il mistero irrisolto del cosiddetto giallo di Cogne.

L’ “oggetto casalingo” come l’aveva chiamato il procuratore Maria Del Savio Bonaudo, che nessuno riesce a trovare. Il particolare che spinge il gip, Fabrizio Gandini, a ipotizzare “ uno o più complici” che avrebbero aiutato l’assassino dopo l’aggressione a Samuele Lorenzi, 3 anni: secondo Gandini, che ne ha ordinato l’arresto di Annamaria, uno o più di Annamaria Lorenzi  potrebbero aver preso quel “ corpo contundente acuminato”, nella definizione del medico legale Francesco Viglino, e averlo buttato chissà dove. Ma questa assenza nei verbali dell’inchiesta é la prova, per l’avvocato Carlo Federico Grasso, che la mamma del bimbo ucciso é innocente: l’assassino é uno estraneo  alla famiglia, poi fuggito con quell’arma.

La settimana dopo il delitto, durante il sopralluogo del Ris di Parma, gli specialisti dei carabinieri erano sicuri di avere trovato l’arma.  Di quest’arma, se ne é parlato molto sulla carta stampata e alla televisione, ma é risultato non fosse quella giusta. Era l’ipotesi del blocco di quarzo. Le prime analisi avevano segnalato tracce di sangue sulla sua superficie. Gli esami di approfondimento hanno poi dimostrato che le molecole di ossigeno in quelle macchie rossastre non erano emoglobina, ma ossido di ferro. Così le ricerche dell’arma é tornata al punto di partenza. Ma un fatto é certo, le macchie sul pigiama di Annamaria, sono prodotte dal sangue del piccolo Samuele. Come si spiega tutto questo? Come si é macchiato quel pigiama indossato dalla madre del piccolo?  Lasciamo agli inquirenti di stabilire l’origine e la causa di questi preziosi indizi, che potrebbero essere decisivi per sciogliere quest’enigma.

Il Buio della mente.

Ogni morte d’uomo ci diminuisce perché con lui se ne va un pezzo dell’umanità di cui facciamo parte. Lo ricordava quattro secoli fa un poeta, John Donne, invitandoci a non chiederci per chi suona la campana funebre: sta suonando per noi.

Quel rintocco risuona più profondo dentro di noi quando muore un bambino. Se l’ordine naturale delle cose che vuole i bambini e i giovani sopravvivere ai più anziani viene sconvolto, la reazione non é soltanto di dolore per la perdita di un essere umano ma di angoscia - come scrive Fulvio Scaparro - in un suo articolo sulla “ Corriere della Sera”, per un’accettabile ingiustizia che colpisce il nostro bene più prezioso. La fede, per chi la ha, i valori e le convinzioni più radicate vacillano di fronte alla prova più dura che la vita ci riserva.

Quando però la morte del bambino é imputabile a chi lo ha generato e dovrebbe essere la fonte di ogni sua fiducia e sicurezza, l’enormità stessa del crimine ci colpisce a tal punto da indurci a rivedere i consueti criteri di giudizio e a soppesare ogni parola. Non stiamo parlando di un bambino ucciso in un incidente stradale o delle migliaia di bimbi che ogni giorno muoiono per fame, sete o perché vittime della furia cieca delle guerre pubbliche e private, una vergognosa vittimizzazione quotidiana dell’infanzia che é il disonore dell’umanità.

Non ci troviamo nemmeno di fronte all’infanticidio per non rivelare una relazione nascosta né, probabilmente, a qualunque altro progetto criminoso che, per quanto esecrabile, possa trovare una sua spiegazione razionale.

No, qui sembra - e mi auguro  con tutto il cuore di essere smentito , che ci troviamo davanti all’uccisione di un bambino nel luogo dove dovrebbe essere più al sicuro e ad opera di chi dovrebbe proteggerlo e avviarlo nel mondo. E allora, una volta scartate le cause biologiche e l’inceppamento dei meccanismi funzionali alla conservazione della specie di cui sono dotate le madri, dobbiamo affrontare con moderate possibilità di successo il percorso della casistica patologica che si é accumulata nei secoli. Qui potremmo imbatterci nel delirio di una mamma che vede nel proprio bimbo un estraneo, una maledizione, un avversario. Oppure, anche se di solito questo avviene nei primi mesi di vita del bambino, in una madre talmente depressa che travolge il figlio nella sua infelicità e lo libera, uccidendolo, da un avvenire che lei considera senza speranza.

Quale che sia l’inquadramento che al fatto faranno gli esperti e fermo restando che dovrà essere provato il figlicidio, resterà comunque tanto di insondabile e angosciante. L’uccisione dei figli in pochi minuti di buio della mente e del cuore mostra i tanti aspetti spesso inesplicabili di un mondo che si picca di spiegare tutto perché non sopporta la quota  inspiegabile, di inquietante e di misterioso che accompagna la nostra esistenza. Si che è difficile scrivere oggi queste parole ma non trovo risposta migliore e più vitale alla morte tragica di un bambino che la pietà nei confronti di chi, uccidendo il proprio bambino, ha inaridito la fonte più limpida di gioia che la natura le aveva riservato. Non é questione di perdono o di indulgenza ma di rispondere ad ogni morte con la vita, ad ogni ingiustizia con la giustizia, ad ogni sofferenza con la cura.

Non tornerà per questo in vita quel bambino, ma se noi non tratteremo la sua mamma come una volgare assassina cosciente delle sue azioni, avremo aiutato il suo fratellino a crescere più sereno e lo stesso Samuele avrà lasciato un segno di fertilità nel suo breve passaggio su questa terra”.

Abbiamo iniziato dicendo: “ Il giallo di Cogne”. Per noi, e non siamo i soli a pensarlo, non c’è stato nessun giallo e se c’è stato, bisogna ricercarlo nell’ambito familiare.

Per oltre quarant’anni, abbiamo svolto l’attività di indagatore, e come abbiamo detto sopra, quale Comandante di Stazione CC, distaccata. In tutto questo periodo di servizio istituzionale, che si é svolto in varie Regioni del nostro Paese, non abbiamo mai rilevato un delitto  commesso con tale efferatezza e atrocità su di un bambino in erme ed in tenera età, mentre si trovava nella propria casa e nel proprio letto. Abbiamo rilevato delitti di vario genere, come rapine, omicidi volontari, infanticidi, furti ed incidenti stradali, ma un delitto come quello di Cogne, non lo abbiamo mai rilevato.

 Giorno dopo giorno, abbiamo seguito la cronaca di questo  efferato delitto e del modo di comportarsi inumano e crudele dell’assassino. Dagli indizi, che giorno dopo giorno, i Mass Media, ci elencavano a profusione, in grande abbondanza, ci siamo fatto un quadro completo del luogo del delitto e soprattutto dell’autore del grave fatto di sangue.

Uno di questi giorni, nel Bar Sport di Campitello, dove  noi viviamo serenamente in pensione, leggendo  e commentando  le notizie giornalistiche del delitto di Cogne, alcuni amici mi hanno chiesto: “Maresciallo Cocolo, secondo Lei, chi possa aver commesso un simile ed  efferato delitto come quello di Cogne? Una risposta che mi pesava come un macigno, ma bisognava pure rispondere e commentare le varie fasi del delitto, prima di dare  la risposta. Secondo me, ci sono tutti i presupposti e gli elementi necessari per arrestare l’autrice del delitto: Annamaria, la madre del piccolo Samuele. Se mi fosse capitata una situazione del genere, mentre ero in servizio quale comandante di  Stazione CC. avrei, senza perdere tempo, proceduto  immediatamente all’arresto o quanto meno al fermo della madre del bambino. Sono del parere, da quanto leggiamo sulla cronaca giornalistica, che ci sarebbero tutti i presupposti per farlo. Con questo, non voglio entrare in merito sull’operato del mio collega responsabile delle indagini, come pure sulle decisioni dell’Autorità giudiziaria inquirente. Comunque, sono d’accordo sulla motivazione del gip Fabrizio Gandini, che ha ordinato ieri mattina l’arresto della madre del piccolo Samuele, accusata di omicidio volontario.

 Le mie convinzioni, ma premetto sono solo convinzioni, combaciano perfettamente con quelle del giudice: “la donna ha ucciso il bambino, poi si é cambiata ed é uscita con il fratellino”. Al rientro in casa, ha data l’allarme, perché , come spiegano gli  studiosi di criminologia, la sig. Annamaria, non ricordava più di quello che era successo pochi minuti prima di uscire. Questa patologia “dissociativa”, cancella completamente il passato e vive il presente. Forse fra qualche anno, la mamma di Samuele, ricorderà per filo e per segno ogni particolare di questo atroce delitto.

Adesso, che  la sig. Annamaria Lorenzi, é rinchiusa  in cella a Torino, si preoccupa  soltanto di sapere: “ Ma  la gente che cosa  sta dicendo di me”? Che cosa vuole  che dica la gente di Lei? La gente ha dei dubbi, e fino a quando questi dubbi  non vengono a cadere, come noi ci lo auguriamo fermamente, rimane sempre quell’enigma, quell’amarezza, quel sospetto che non ci fa pensare ad altro.

LA MORBOSA CURIOSITÀ' DEI TURISTI.

Prima  che succedesse questo gravissimo fatto di sangue a Cogne, la gente andava per godere  di quelle bellezze naturali, di quella pace agreste e solinga, che la madre natura ci  offriva. Oggi, non é più così. I turisti che salgono fin lassù, non cercano più di fotografare il meraviglioso paesaggio, ma la casa dei Lorenzi, quella casa dove venne ucciso il piccolo Samuele. Il giornalista Fabrizio Roncone, così scrive dei turisti a Cogne: “ I papà ormeggiano con le vidiocamere, provano lo zoom, cominciano un filmino con una panoramica dei ghiacciai e poi stringono, scendono in basso, fino ad inquadrare la casa dei Lorenzi. Le mamme hanno già pettinato i fili, le famigliole stanno in posa. “ Un bel sorriso! Forza, fate ciao con la mano”.

C’è un altro papà che scatta foto. Arriva un ragazzo, scende dalla bicicletta e incomincia a mangiare un panino. Due fidanzati si baciano, appoggiati alla staccionata. Poi lei si siede, con la faccia al sole. Bel sole caldo. Bella domenica, per venire in gita quassù, a godersi un po' di orrore.

I carabinieri dicono che non si può. La casa dove é stato ucciso Samuele é ancora sotto sequestro, ci sono i sigilli alle finestre e alle porte dell’ingresso. Ma i papà protestano. “ Uno scattino ancora, signor appuntato....” . Sono saliti da Aosta, da Torino. “ Peccato  per i carabinieri - aggiunge rammaricato Stefano Nardi, 47 anni, di Vercelli - Mi hanno messo fretta e mio fratello é capacissimo di dirmi che ho ripreso una baita qualunque, eh?

I turisti se ne vanno delusi e chiedono l’indirizzo di un ristorante, ma altre macchine rallentano sulla strada che porta a Gimillian. “La casa del delitto é quella laggiù? Ah, già, certo, e infatti quello di sotto dev’essere lo chalet della psichiatra ... Com‘è che si chiama? Ma si, che scemo, Satragni....”. Conoscono i luoghi, le case, i protagonisti che ruotano intorno alla morte di Samuele: hanno la sensazione di entrare, fisicamente, nel mistero del delitto”.. “ Bhe, si, é tutto piuttosto eccitante...”, ammette una signora di Torino.

In una intervista televisiva, trasmessa al telegiornale di RAI Uno, abbiamo visto il sindaco Osvaldo Ruffier, che china la testa, triste ed esausto, ha detto: “ Cogne era la perla del Gran Paradiso e ora é tremendo vedere questi turisti dell’orrore, ma non possiamo certo fermarli. Dobbiamo solo sperare che si trovi presto una soluzione definitiva al giallo, così da rendere inutile ogni morbosa forma di curiosità”.

Ecco, signora Annamaria,  chi sono i turisti che in questi giorni salgono a Cogne: sono assetati di morbosità e soprattutto di curiosità. Fra qualche giorno, quando  i Mass Media, termineranno di  scrivere e pubblicare i loro articoli,  sono sicuro, che tutto ritornerà alla normalità ed a Cogne ritornerà la serenità di sempre.

E’ un momento pesante da superare, fino a quando non emerge la vera, la pura verità ed il movente  sulla morte di Samuele. E’ ciò che ha detto, nel corso della sua omelia domenicale, il parroco, don Corrado. Che, stavolta, non ha parlato del diavolo. E neppure ha fatto riferimenti ai cogneins che hanno calunniato altri cogneins. In ogni caso, ognuno di noi, si deve assumere le proprie responsabilità e non  cercare di scaricarle sugli altri cittadini.

 Di fronte a me, c’è una grande finestra, una finestra illuminata dal tiepido sole primaverile, che da sul cortile della mia casa. Per un momento, invece dei lunghi filari di pioppi che stanno germogliando, immagino di vedere le piste da sci per i bambini, i più grandi che corrono sugli slittini, mentre  gli adulti, quelli che non sono impegnati a fare sport, osservano lontano sopra i tetti d’ardesia, oltre il campanile, che é circondato dalle anguste stradine acciottolate, dalle case in legno e di pietra, annerite dal tempo, andando a frugare sulle pendici del Gran Paradiso, e poi scendere, fino - appunto - alla casa dei Lorenzi, in quella casa del mistero, in quella casa dove non c’è più la serenità familiare.

Avidi e insofferenti.

Sta cominciando, ed era inevitabile che cominciasse. Molti italiani, sempre di più, come scrive Beppe Severgnini, pensano che le televisione, radio e giornali stiano esagerando. La tragedia di Cogne viene ormai servita in tutte le salse: dal macabro al confidenziale, all’analisi psicoanalitica all’indagine artigianale. A tutti sarà concesso, negli ultimi giorni, di ascoltare, o di pronunciare, una frase,: “ Non se ne può più”. Ebbene,: sareste stupiti se dicessi che gli insofferenti sono, spesso, lettori e spettatori avidi? Eppure le cose stanno così. I dati di ascolto e le rilevazioni di lettura mostrano come la nazione segua ossessivamente la vicenda di Cogne.

Tutti ipocriti, dunque? No. Tutti sinceri, invece. Siamo sinceri quando leggiamo e osserviamo, ipnotizzati. Siamo sinceri mentre proviamo fastidio e disgusto: per l’orrore della vicenda, per l’assedio a una famiglia disgraziata, per l’assalto a un paese incolpevole. Per noi stessi, incapaci di staccare gli occhi. E’ una contraddizione evidente, basta pensarci con onestà. Siamo tutti rispettosi e tutti morbosi: da un italiano all’altro cambia solo la proporzione tra due sentimenti”.

Non dobbiamo sorprenderci. Il dolore e la sofferenza provocano spesso queste reazioni. Pensate al traffico che rallenta per dare un’occhiata all’incidente, e alla curiosità per la morte ( dal cinema alla letteratura, al funerale di passaggio). Questa morbosa curiosità, esiste da  sempre. Ricordo, quando sulle strade ero chiamato a rilevare un'incidentale spesso mortale, a fatica riuscivo a volte a contenere la curiosità degli automobilisti, che si fermavano, formando delle lunghe code, per il semplice fatto di osservare da vicino  l’accaduto. Spesse volte, quelle improvvise fermate, provocavano altri incidenti, altri morti. Sono le stesse persone curiose e assetate di quella morbosa curiosità, che abbiamo visto in questi giorni a Cogne. I turisti non salgono più a Cogne, per sciare, per godersi una giornata di serenità, per respirare una boccata d’aria pure, per ammirare le bellezze paesaggistiche del Gran Paradiso, ma per curiosare, per fotografare la casa dell’orrore.

In questa  brutta vicenda di Cogne, tutto ciò avviene alla quinta potenza. Un magistrato di Aosta ha citato Dostoevskij; altri Shakespeare e Sofocle. Pensateci. In questi riferimenti letterari - tutt’altro che assurdi - sta la chiave per capire la nostra ambivalenza. La testa vorrebbe scappare, ma il cuore  e le viscere non ne vogliono sapere.

Certo, siamo invasi dalla carica dei taccuini, dei microfoni, delle interviste e delle telecamere che non rappresentano un bello spettacolo. Infatti, irrita molti di noi italiani. Ma quegli stessi italiani seguono mezz’ora di telegiornale e leggono tre pagine di  quotidiano ottenute, come dice Severgnini, da quei taccuini, a quei microfoni e a quelle telecamere. Vedete? L’ambivalenza continua.

Molti di questi giornalisti televisivi e della carta stampata, affrontano la vicenda con cautela e rispetto. Ma non c’è dubbio: sono là, sono a Cogne, fanno parte della folla che assedia chiunque porti una divisa, ricopra una carica, abbia qualche cosa da dire.

ANALISI.

“ DIETRO IL DELITTO DI COGNE C’ E’ LA SOLITUDINE DI UNA MADRE”

Lo Psicanalista Prof. Francesco Ronco, così lo ha definito questo grave fatto  di sangue: “ Che cosa é avvenuto nella mente di Anna Maria Franzoni per spingerla a compiere un atto contro natura? Se potessimo guardare nella sua mente troveremmo quel meccanismo mentale che va sotto il nome di “ trasferito”, spostato su Samuele, quella conflittualità inconscia che sicuramente viveva col proprio marito, e che ieri avrà sicuramente vissuto con la figura paterna.

Samuele sta inconsciamente sia al posto del marito che al posto del padre. Samuele viene ucciso perché per la madre non significa più se stesso, bensì, per la madre, Samuele é altro da sé. In quest’ottica il motivo profondo per cui Anna Maria compie quest’atto estremo é la sua solitudine affettiva. Probabilmente viene  “ portata” in un posto in cui  lei non vorrebbe vivere (e la montagna é anche solitudine), qui é costretta a trascorrere molte ore da sola perché il marito passa molte ore lontano da lei. E per una donna i bambini, anche se possono essere tutto, non riescono a sostituire l’indispensabile figura maschile.

Quest’abbandono può averle rievocato quello avvenuto da parte del padre assente per lavoro. Ed ecco che l’accumulo di rabbia dovuto a quest'isolamento affettivo, la porta inconsciamente a spostare la rabbia che avrebbe verso suo marito, e ieri verso suo padre, o Samuele. Il mito di Medea che uccide i figli per vendicarsi di suo marito. Samuele, essendo maschio, può essere inconsciamente identificato con le figure maschili (principio di simmetria, M. Blanco)

Perché Samuele e non Davide? Intanto perché Samuele essendo il più piccolo, ha una minore possibilità di reazione, ma il vero motivo profondo  (inconscio) per cui la madre “ sceglie” Samuele, suo malgrado, può aver “deluso” Anna Maria in quanto nato maschio.

Mi spiego: sicuramente la madre avrà “ desiderato” una femminuccia dopo aver avuto un primo figlio maschio. La femminuccia le avrebbe anche alleviato quella solitudine dovuta sia all’assenza del marito, sia all’assenza delle figure genitori : una donna spesso é “ costretta” ad abbandonare il suo mondo affettivo d’origine, quando  si lega ad un uomo.

Il paradosso di questo atroce delitto é proprio il tentativo di Anna Maria di voler uscire dalla sua schiacciante ed opprimente solitudine. Non ha forse raggiunto il suo intento? Tutta l’Italia, tutto il mondo parla di lei che, attraverso questo delitto, si é paradossalmente unita a tutti noi che Le mancavamo quando era relegata nella casa di montagna nell’attesa di una presenza umana ( la costante presenza del marito al suo fianco dopo l’atroce delitto, può essere dovuta a sentimenti di riparazioni nei confronti di Anna Maria: “ Mi rendo conto che averti lasciata da sola ti avrà provocato una profonda solitudine mista a tanta rabbia”). Ma il paradosso é che proprio volendo uscire dalla sua solitudine, finisce in un’altra e schiacciante solitudine: il carcere.

Questa storia non ha nulla di “ psichiatrico”, va inserita nel vissuto personale di Anna Maria, nel contesto di tutta la sua vita affettiva, essa ci ripropone in maniera impellente e drammatica il problema della solitudine della donna ai giorni d’oggi. Sarebbe un vero delitto incapsulare la vita affettiva di una donna a partire dalla sua infanzia, in riduttive diagnosi psichiatriche: Amnesia dissociativa” o altro; queste diagnosi oltre ad uccidere il vissuto personale di una persona, ne vanificano il senso, i sentimenti, gli affetti, la storia, l’anima di una donna - Persona.

Fare questo significherebbe seppellire l’anima di una persona che resta, al di là delle nostre diagnosi, immortale. Così come sarebbe delittuoso cercare di “ redimere” il vissuto di questa donna con psicofarmaci, che ne ucciderebbero ulteriormente l’anima, anziché aiutarla a dare un senso attraverso un aiuto psicoanalitico a tutto ciò che le é accaduto. Questa donna costretta oggi a privarsi del bene più prezioso, la Vita, perché ieri non amata dai suoi genitori, oggi non amata e non compresa da un uomo. Riflettiamo su questo: chi oggi potrà più ridare ad Anna Maria quell’amore tanto desiderato? Chi mai le potrà più restituire quel figlio che rappresenta per ogni madre, e che ha rappresentato anche per lei, il bene più prezioso? Noi tutti dovremmo sentirci corresponsabili e della solitudine di questa donna, e della morte del piccolo Samuele”.

Da Euripide a Ballard, errori e follie nei drammi familiari.

In questi riferimenti letterari, tutt’altro che assurdi, sta la chiave di lettura, per farci capire la nostra ambivalenza di questo, non comune delitto. Da una ricerca effettuata da Paolo di Stefano, é emerso quanto segue: “Quanti figli e figlie, quanti padri e madri, fratelli e sorelle ha ucciso la letteratura. A cominciare da Medea. La quale,, donna straniera e come tale sospetta, fa fuori i suoi figli per vendicarsi di Giasone che l’ha abbandonata. Euripide, per la verità, é un maestro insuperato nel raccontare truculente stragi familiari. Basti pensare al fatale intreccio tra Fedra, suo marito Teseo e il figliastro Ippolito di cui perdutamente lei si  innamora finendo suicida. Basti pensare a Le Baccanti, dove Agave, scambiandolo per un leone, sbranava il figlio Penteo e ne porta il capo in trionfo. Si dirà che tutto sommato l’atrocità viene stemperata dall’errore, provocato dal vendicativo Dioniso. Poco prima, Sofocle aveva narrato le vicende di Edipo, sposo di sua madre Giocasta e giustiziere, ancora una  volta involontario, del padre Laio. Niente di involontario nell’orrore consumato da Oreste, che Eschilo vuole, con la sorella Elettra, assassino della madre Clitemnestra, assassina a sua volta del marito Agamennone, accusato di aver offerto in sacrificio agli dei la figlia Ifigenia. Una carneficina.

La dimensione rovinosa della follia arriverà con Seneca, il quale in "Hercules Furens" mette in scena l’antico eroe invincibile che, impazzito, uccide figli e moglie prima di rinsavire e tornare ad Atene. Così in Tieste, il drammaturgo latino non trova  di meglio che raccontare la furia del tirannico Atre contro il fratello Tieste, colpevole di averne sedotto la moglie e di averne insidiato il regno. Il poveraccio sarà indotto a cibarsi delle carni imbandite dei propri figli sacrificati per mano dello stesso Atre, pronto poi a mostrare al fratello le teste mozzate dei ragazzini. Altro che pulp.

Pulp al quadrato la Fedra di Racine, dove Euripide e Seneca si fondono in una spettacolare ecatombe consumata tra malattie, rimorsi, incesti, gelosie, maledizioni. Per non parlare di Shakespeare: in Amleto, il bilancio degli intrighi e delle incomprensioni é truculento oltre ogni immaginazione:  il padre di Amleto ucciso dal fratello Claudio; due intere famiglie sterminate: Ofelia suicida per disperazione; il padre di lei, Polonio, fatto fuori dallo stesso Amleto, che riesce a eliminare anche il fratello di Ofelia, Laerte; la regina Geltrude avvelenata dal vino destinato al figlio Amleto; infine Amleto, trafitto in duello.

Dal Seicento in poi, le turbolenze familiari in letteratura sembrano forse più sfumate. L’Italia aveva toccato il culmine in alcune novelle del Decameron. Per esempio nella prima della quarta giornata, dove Boccaccio narra la vicenda del principe di Salerno Tancredi, il quale per impedire l’unione della bellissima figlia con il valletto Guiscardo decide di mandarle il cuore del ragazzo in una coppa dorata. Conclusione: la povera Ghismunda si versa sopra dell’acqua avvelenata e si dà la morte. I sudditi e i cortigiani, intervistati da una ipotetica televisione trecentesca, avrebbero sicuramente parlato di una famiglia “ normale”, essendo Tancredi, prima del raptus fatale, “ signore assai umano e di benigno ingegno”.

Avvicinandoci ai nostri giorni, i conflitti familiari si fanno più sordi e meno spettacolari. Anche se non mancano i delitti. Nel I fratelli Karamazzov il circolo vizioso é tutto maschile. Il padre Fedor, libertino e depravato,, non é affatto amato dai figli. Della sua morte  verrà ingiustamente accusato Mitja, il più ostile, innamorato di una bella ragazza su cui il padre ha messo gli occhi. La ricostruzione giudiziaria sarà fondata su questo movente errato e dall’indagine finiranno per restar fuori i veri colpevoli, il figlio illegittimo ed epilettico Smerdjakov ( che confesserà prima di uccidersi) e Ivan, il figlio intellettuale ateo che l’ha plagiato. Non c’è sangue ma in fondo é come se ce ne fosse nella Metamorfosi di Kafka, dove il povero Gregor Samsa trasformato in insetto viene sempre più isolato dalla famiglia fino a morire per una mela lanciatagli dal padre e rimasta conficcata a marcire nella sua schiena.  Del resto, i risentimenti del povero Franz verso la figura paterna verranno resi espliciti nella  famosa Lettera, in cui lo scrittore, ormai maturo, non riuscirà a nascondere l’inestricabile groviglio prodotto da un colossale senso di colpa. Un decennio prima, circa, D’Annunzio aveva inscenato un parricidio vero e proprio. Ma nella figlia di Jorio, al contrario che in Kafka, il sangue c’è, però é come se non ci fosse, annacquato nell’eccesso epico - retorico: e si rimane quasi indifferenti quando il giovane Aligi, disgustato nel vedere il padre Lazzaro intento a possedere Mila con la forza, non ci penserà due volte prima di accopparlo. Ben altro effetto avrà il presunto matricidio realizzato dall’ “hidalgo” Gonzalo nella Cognizione del dolore: perché maturato in un crescendo di odio, violenza verbale, delirio e claustrofobia mortifera. Ben diverso sarà anche il parricidio collettivo narrato da James Ballard in Un gioco da bambini, agghiacciante epilogo contemporaneo. Dove tredici ragazzi che vivono in un sobborgo residenziale del Berkshre, una mattina di giugno del 1988 decidono, senza un motivo apparente, di eliminare trentadue genitori prima di sparire nel nulla. Un delitto perfetto, degno, a suo modo, di Euripide. E del  nostro irragionevole tempo”.

Riflessioni.

“ Ci sono giorni in cui ogni cosa che  mi sembra carica di significati: messaggi che mi sarebbe difficile comunicare agli altri, definire, tradurre in parole, ma che appunto  perciò mi si presentano come decisivi”, come i fatti tristi e dolorosi che all’improvviso hanno rattristato, buttato nel buio  più profondo tutta una intera comunità, la comunità di quel meraviglioso borgo antico, “fatto di pietra e di legno” , con le case annerite dal tempo  e con i tetti rallegrati e caratterizzati dalla bianca e soffice  neve invernale. Adriana, mia moglie, la prima volta che ci siamo stati a Cogne, osservando il fumo nero che usciva dai camini di quelle case di pietra e si fondeva  nel cielo grigio di neve, l’aveva definito il paese delle fate, il piccolo “ paradiso”, che sorge ai piedi del massiccio del Gran Paradiso, dove gli uomini e  i camosci hanno vissuto per secoli in simbiosi. Oggi, é un paese triste, un paese che ha perduto la sua serenità . Comprenderete dunque la mia difficoltà a parlarne, se non per accenni, come del resto, credo, sia la stessa cosa, per milioni di altre persone.

L’abbiamo definito un atto “ proditorio”, che costituisce un tradimento nei confronti del bambino, quando questo gravissimo atto é imputabile a chi lo ha generato e dovrebbe essere la fonte di ogni sua fiducia e sicurezza, l’enormità stessa del crimine ci colpisce a tal punto da indurci a rivedere i commenti critici di giudizio e a soppesare ogni parola. Ma se così non fosse , allora cambierebbe ogni significato e questo atroce delitto, andrebbe a sommarsi ai migliaia di altri delitti che subiscono i bambini ogni giorno.

Marcel Proust, così  scrive nel suo libro, “La strada di Swann”:  “Toccherà mai la superficie della mia piena coscienza quel ricordo, l’attimo antico che l’attrazione d’un attimo identico é venuta così di lontano a richiamare, a commuovere, a sollevare nel più profondo di me stesso! Non so”.