LE CINQUE TERRE.AVANTI CLICK

Primo Settembre 2002

Questa mattina, alle ore 5 circa, quando attraversavamo  il centro abitato di Campitello, le strade e la grande piazza Garibaldi, erano completamente deserte, ma leggermente rischiarate da uno spicchio di luna calante. Non si vedeva neppure un’anima circolare e di tanto in tanto,  ad una certa distanza, si vedeva una sagoma non meglio definita e quasi sfocata da quella leggera foschia che é caratteristica da queste parti. Per un momento, ci é sembrato di vedere una scena del film  western, che la sera prima avevamo visto alla TV,  e che aveva per protagonisti pellirosse e sceriffi, in una città fantasma del west, avvolta da una brumosa  notte scura. Insomma, era una città addormentata e deserta come il nostro simpatico paese di Campitello. Soltanto all’angolo del Monumento ai Caduti, c’era il Sig. Bodini, che cercava di sistemare il suo banchetto del formaggio. Si, perché oggi, a Campitello é giorno di mercato. Alle ore 5,30,   il  gruppo dei Campitellesi, capeggiato dalla simpatica Signora Cesarina Bodini, era in attesa del pullman, nella località stabilita dall’Ente Valle, che aveva organizzato la gita turistica alle Cinque Terre, nella località, lasciatemelo dire, più bella del mondo.

Oltre al gruppetto degli indigeni, cioè dalle persone originari della Val Padana, c’eravamo anche noi, cioè io  ed Adriana mia moglie. Più in la, oltre al gruppetto  degli amici e conoscenti, si era formato un altro gruppetto di signore  ucraine,  un poco distaccate e con una certa indifferenza e freddezza.  Queste signore, per motivi contingenti hanno lasciato il loro Paese e si sono stabile qui a Campitello, dove svolgono l’attività di “badanti” agli anziani che necessitano di assistenza  e cure continue.  Qualcuno potrebbe dire, ma  che  strano, proprio dalla lontana Ucraina, sono venute fino a Campitello, per trovare un posto di lavoro. Oggi, non c’è nulla di strano, perché il nostro da paese di emigranti, é diventato o sta per diventare un paese multi etnico. Infatti, oltre alle ucraine, vi sono marocchini, indiani e cinesi, che si sono inseriti bene nella nostra comunità. Giorno dopo giorno, sulle nostre coste del Sud, sbarcano migliaia di disperati in cerca di un lavoro e di un pezzo di pane. Sicuramente, se potesse ritornare dall’aldilà il vecchio “ Peppone”, cioè Giuseppe Stalin, chissà che cosa ne penserebbe del suo grande impero che ha fatto bancarotta, che si é frantumato in tanti piccoli stati e quindi reso al fallimento, alla rovina.....

Ma come si fa a ignorare che sono fratelli, figli della stessa Terra e della stessa fame? Queste persone scappano dalla miseria, da un’economia che ti butta via come una scarpa vecchia. E noi, nel ‘45, non scappavamo dalla miseria? Me li ricordo bene: sono partiti dal mio piccolo borgo aspromontano  di Cosoleto, cento in un giorno solo. Andavano nelle miniere di carbone del Belgio, dove molti di quei ragazzi ci sono rimasti sepolti nelle miniere di Marcinel nel, oppure in Germania a sgobbare solo per potersi comperare il biglietto per l’America. Quella gente é ancora via. Perché la loro memoria non ha voce in capitolo? Perché la Tv non ne parla? La memoria é come un piccolo fuoco, se non lo si tiene acceso si smorza subito.

Parlando  di immigrati,  lo scrittore Rigon Stern, così ha detto  in una sua intervista: “ Non possiamo pretendere che gli immigrati si integrano subito: Se ne riparli  tra cinquant’anni. Per gli italiani, l’integrazione in America é sta lunghissima, forse più lunga di mezzo secolo. Sono accorse generazioni. E poi, come possiamo chiedere a questi nuovi arrivati di essere come noi e i nostri vecchi, se non abbiamo valori da trasmettere? La nostra gente é frastornata da Tv, calcio, pubblicità, rumore e discoteca. Li vedo che vengono qui sull’Altopiano di Asiago. Hanno  la testa nel sacco, non pensano che a mangiare. Mi ascolti: questa società non ha paura degli immigrati. Ha paura del proprio vuoto”.

  Lasciamo questi preamboli e veniamo al dunque. Tutto ciò, diciamo che ci é servito per introdurre l’argomento della nostra escursione alle Cinque Terre.

La riviera di Levante.

 Incominciamo col dire che la Riviera di Levante, con le Cinque Terre e Portovenere, costituisce un sito culturale di eccezionale valore nel quale l’uomo e la natura sono riusciti a integrarsi perfettamente con un paesaggio affascinante e unico. Allo stesso tempo conserva intatto da secoli il tipo di vita tradizionale che ancora oggi svolge un ruolo socioeconomico di grande importanza nella sussistenza della comunità.

Per questi motivi é entrato a far parte del Patrimonio dell’Umanità

 Il paesaggio della vecchia Liguria lungo la Riviera di Levante, tra le Cinque Terre e Portovenere, ha sempre attratto non soltanto gli escursionisti come noi “mordi e fuggi” della domenica, ma artisti, musicisti e scrittori. Alcuni dei visitatori più fedeli, come i poeti romantici inglesi Lord Byron e Percy Bysshe Shelley, la scrittrice francese George Sand e il compositore tedesco Richard Wagner, non hanno esitato a decantare nelle loro opere la singolare bellezza di questi luoghi, rendendoli così immortali. Ma prima ancora di questi grandi artisti,  un altro  artista, il più grande di tutti i tempi: Dante Alighieri, nel suo immortale poema, ne ha  reso immortale questi luoghi della magnifica Liguria.

Il territorio che si estende per circa 15 chilometri  da Portovenere a Monterosso al Mare, lo conosciamo palmo a palmo, per averlo più volte percorso in lungo ed il largo nelle nostre escursioni primaverili con il CAI di Mantova. Il suo profilo costiero aspro e irregolare, che é stato modellato dall’uomo nel corso dei secoli fino ad ottenere un paesaggio unico al mondo. Osservandolo  dall’alto, come abbiamo fatto più volte noi, si possono osservare la successione di pendici montuose a picco sul mare, scandite da una serie di terrazzamenti coltivati, evoca panorami simili a quelli delle meravigliose e minuscole isole dell’Egeo. Senza parlare delle insenature rocciose e delle onde spumeggianti che continuamente si infrangono, creando una visione meravigliosa, un paesaggio astratto e a volte lo potremmo definire anche metafisico.

  Ammirando queste località incantate, stando comodamente seduti sul tolda del battello, non si hanno le stesse sensazioni che ammirarle dall’alto. Comunque, é sempre una  visione da sogno.

Le Cinque Terre.

Qualcuno si potrebbe domandare, ma che cosa sono le “Cinque Terre”? Esse sono comprese in un ambiente inconsueto, ostile eppure favorito da un clima eccezionale. Per questo fin dai tempi preistorici l’uomo ne abitò le balze, consolidando poi a poco a poco la propria presenza in cinque piccole villaggi, le “ Cinque Terre” appunto.

Mentre  il vaporetto avanza, e tu sei seduto sulla tolda, anche il paesaggio avanza in un susseguirsi di suggestive insenature, di paesini illuminati dal sole e abbarbicati sulla roccia, di  piccole case sparse, di  vigneti arditi costruiti a forza di braccia e soprattutto di volontà e di terra a volte portata con le barche e poi a spalla sulle nicchie più incredibili, ad un soffio dai dirupi. Di tanto in tanto, l’occhio, spaziando nel paesaggio, si ferma su piccole e caratteristiche chiesette  in uno stile  non ben definito, ma dipinti da colori caldi come le case del Mediterraneo.

Nelle  pause di riflessione, tra una fumata e l’altra, con la mia indimenticabile pipa, oltre ad osservare quel magnifico paesaggio , a me molto familiare, che mi scorreva davanti agli occhi come se fosse una sequenza cinematografica, ma quello che mi ha colpito maggiormente, non  é stato il paesaggio, ma  l’espressione del  viso raggiante degli amici campitellesi: gli brillavano gli occhi per la gioia . Tutto questo voleva dire grande condizione di felicità e di grande contentezza, poter ammirare un paesaggio come questo, che tutto il mondo ci invidia. Per molte di quelle persone e di quegli amici, é stata una felicità vedere per la prima volta quei luoghi  da sogno. L’amico “ figaro”, Luigi il barbiere del nostro paese, che stava seduto vicino a me, sul ponte del battello, mi ha detto: “ Maresciallo, lei che ha vissuto quasi una vita in questi luoghi bellissimi, come mai ha scelto Campitello, dopo il ritiro della sua lunga carriera militare nell’Arma”? Si, ha ragione, mio caro amico, ma le esigenze della famiglia, vengono prima di ogni cosa nella vita. 

Dopo questo inciso, ritorniamo a parlare di questi luoghi. Le culture di queste fasce che digradano quasi a picco sul mare, in un terreno pietroso e  povero di  terra,  sono definite “ciàn”: colture tra le più antiche di tutto il Mediterraneo, oggi purtroppo in via di lento ma inesorabile abbandono. Anche un profano può rendersi conto di questo degrado, perché al posto della vite, vi crescono cespugli di rovi ed olivastri.

E’ uno scenario legato al continuo lavoro dell’uomo: per ogni ettaro di vigneto vi sono circa 4000 metri di muretti a secco che sostengono terra e viti, e poi filtrano l’acqua piovana. Di tanto in tanto, mentre percorri i sentieri che degradano verso il mare, s’incontrano alcune piante di fico, dell’olivo, della pesca e del cappero. Si, avete capito, ho detto il cappero, perché questa pianticella cresce anche qui in Liguria, e non solo nell’isola di Salina, che é una delle sette isole dell’Eolie, che abbiamo esplorato una ad una, come del resto abbiamo fatto con le Cinque Terre.

In queste due località, ( Eolie e Cinque Terre) anche gli insediamenti umani, come le piante, si sono adattati a questo ambiente rude e inospitale, sviluppandosi direttamente sulle rocce e creando nuclei compatti di abitazioni intorno a stradine e sentieri strette e tortuose. Fra queste due località, vi é una sola differenza, che nei villaggi dell’Eolie, i tetti sono terrazzati, mentre qui,  nelle Cinque Terre,  l’attuale impiego di  ardesia per le coperture dei tetti conferisce a queste case un aspetto tipico. Il nucleo urbano é raggruppato attorno a un edificio religioso o a un castello medioevale. I piccoli porti servono da riparo alle imbarcazioni utilizzate dagli uomini per un’altra attività tradizionale: la pesca.

I paesi delle Cinque Terre.

In altre occasioni, abbiamo avuto modo di visitare tutti questi paesi barbicati nelle insenature,  mentre oggi, li vediamo sfilare uno ad uno, stando a bordo del battello. Il primo paese delle Cinque Terre, che abbiamo incontrato e visitato questa mattina é stato Portovenere, mentre l’ultimo, che forma il capolinea, é il borgo fortificato di Monterosso al Mare. Incominciamo a descrivere questi paesi, incominciando da quest’ultimo borgo fortificato, che é   il primo nucleo abitato che si incontra venendo da ovest. Incerte sono le sue origini, ma é noto che la zona iniziò a svolgere un importante ruolo strategico durante il VII secolo, all’epoca delle invasioni barbariche. Dopo essere stato oggetto di contesa tra diverse famiglie in epoca medioevale, Monterosso unì la propria sorte a quella della Repubblica di Genova. L’abitato é raccolto intorno a una piccola insenatura orlata da una spiaggia sabbiosa, tra il promontorio del Mesco e la Punta Corone. Al centro si erge la chiesa di San Giovanni Battista, costruita tra il 1244 e il 1307 nello stile gotico ligure e sormontata da un campanile merlato che in origine era una torre di osservazione. Le vestigia di un antico castello genovese, con tratti di mura, e il convento dei Cappuccini, risalente al XVII secolo, sorgono in posizione dominante all’estremità del promontorio roccioso del Colle di san Cristoforo. Nel centro storico, nell’ora del pranzo, la comitiva dei campitellesi, si é divisa in piccoli gruppi. Noi, cioè Adriana ed io, con altri 11 amici, ci siamo fermati in un piccolo ristorantino denominato “ Mare Alto”, dove abbiamo consumato il nostro pranzo a base di pesci. E’ stato, più che un pranzo, un momento di allegria, perché in una gita come la nostra, se fosse venuta meno  l’allegria, sicuramente sarebbe mancato il divertimento. Sarà stato il luogo, sarà stata la conversazione con  quelle simpatiche signore o forse quel bicchiere di troppo: di quel vino rosso e generoso, di quel nettare degli dei, che viene prodotto  in quei superbi colli. Il fatto sta', che é stato un momento  spensierato,  gaio, festoso. Insomma, per farla breve, la nostra era un’allegra comitiva.

Monterosso, é collegato a Vernazza da una stretta via che si aggira attorno al monte e scende a costeggiare il mare offrendo ai turisti ed agli innamorati il magnifico panorama delle Cinque Terre.  Questo sentiero é denominato: Via dell’Amore.

Vernazza.

Proseguendo a ritroso, dietro uno sperone di roccia, appare Vernazza, che fu fondata attorno all’anno 1000 e integrata definitivamente nella Repubblica di Genova nel 1276. La chiesa gotica di Santa Margherita d’Antiochia, costruita nel 1318, é affacciata sul porticciolo e contende il poco spazio alla piazzetta occupata da barche tirate in secco. Su un promontorio roccioso sorge il castello Belforte, dove oggi vi é  ubicato un piccolo bar con vista sul mare, che si presenta al visitatore con un poderoso bastione sovrastato da una torre cilindrica.

La storia ci racconta che Vernazza, antichissimo borgo di origine romana, é posto sulla pendice di uno scoglio dirupato, sporgente sul mare. Difeso per la sua posizione, dai venti del nord, presenta un clima sano, temperato e costante. Vi si producono agrumi e castagne, ma soprattutto olio e vino; da Vernazza appunto si vuole da taluno che tragga il nome il vino Vernaccia.  Caratteristica, come nelle altre località delle Cinque Terre, la coltivazione della vite a causa del terreno sassoso, erto e a strapiombo, quasi a perpendicolo, sul mare.

In un minuscolo locale fresco e accogliente, ricavato dentro la roccia, abbiamo gustato un ottimo gelato di fabbricazione artigianale. Attiguo alla gelateria, vi é la rinomata “focacceria”, dove sfornano in continuazione la gustosa   “ focaccia al rosmarino o alle cipolle”, farcita con prosciutto  e formaggio. Adriana, essendo di origine ligure, non ha voluto perdere l’occasione per farsi preparare due porzioni per la merenda. Vi assicuro che é una vera leccornia.  In fine da Francesco, detto “Baciccia”, al piccolo bar  del pescatore, sito nella piazzetta  a fianco al molo, prima di ritornare sul battello, abbiamo degustato una buona tazza di caffè.

Corniglia, é l’unico paese delle Cinque Terre che non é stato costruito sulla costa, bensì sopra un terrazzo roccioso alto un centinaio di metri sul mare. E’, dominato dalla chiesa di San Pietro, edificata tra il 1334 e il 1351.

Manarola.

Più ad est si trova Manarola, fondata nel XII secolo dalla popolazione proveniente dal villaggio montano di Volastra. Le case sono disposte per un lato lungo uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, e per l’altro lungo il fiume Grappa, che oggi scorre in parte sotterraneo. Tra gli edifici più significativi vi sono la chiesa di San Lorenzo, l’oratorio quattrocentesco dei Disciplinanti della SS. Annunziata e i resti degli antichi bastioni.

Riomaggiore e Manarola.

Riomaggiore e Manarola, sorgono all’estremità orientale delle Cinque Terre, é un altro caratteristico borgo medioevale. Sembra un paese incastrato a forza tra le altissime ed aspre rocce che gli consentono soltanto lo spazio di una gola. Il sole penetra a stento tra le ombre degli alti monti incombenti; ma la rude e tenace opera della popolazione ha vinto la natura matrigna convertendo le bigie ed irte rocce in opulenti vigneti che formano la celebrata ricchezza del luogo. Le sue case sono disposte su due file parallele principali che seguono l’incisione del torrente omonimo ( oggi coperto) fino al mare, dove vi é il nucleo più antico dell’abitato. Bella la chiesa di San Giovanni Battista, situata nella parte alta, costruita tra il 1340 e il 1343. Il castello fu iniziato nel 1260 e completato nel XV - XVI secolo; rimangono le cortine murarie e due torri rotonde.

Il celebre Santuario di Montenero, sul colle omonimo, sorge a levante di Riomaggiore e fu eretto dai primi abitanti del luogo, che si presume venissero dalla Grecia nel 790. La chiesa parrocchiale é stata dichiarata monumento nazionale e risale al 1340, secondo un’iscrizione in essa esistente, che alcuni anni fa, in una nostra sosta escursionistica,  abbiamo letto  e riportato i dati nella nostra vecchia agenda di viaggio.

Nessuna strada carrozzabile, Manarola é unita al capoluogo, da cui dista un chilometro, per mezzo di una spaziosa galleria e da una strada prospiciente il mare, con panorami incantevoli. Manarola sorge sopra uno scoglio a picco sul mare; ha strette viuzze e ripide gradinate, serpeggianti fra le case dai tetti di ardesia e uno scalo tagliato nella viva roccia, ottimo rifugio alle barche. La parrocchiale risale al 1338, é in arenaria squadrata, con una graziosa facciata, che porta nel mezzo un pregevole rosone in marmo.

Portovenere e le sue isole.

Portovenere, é stata il primo borgo marinaro  che abbiamo ammirato e visitato questa mattina, subito dopo che il battello ha lasciato il Porto di La Spezia.  E’ la prima delle Cinque Terre, l’antica Portus Veneris fu fondata dai romani come stazione navale tra Luni e Sestri. Tra i resti che risalgono a quell’epoca, si segnalano le vestigia di una grande villa romana (fine II - inizio I secolo a. C.) Visibile nella zona di Vergnano. La storia ci racconta che nel 1113 Portovenere fu occupata dai Genovesi. Oggi presenta l’aspetto tipico delle città fortificate, con le sue case colorate, alte, ristrette e insieme congiunte, ai piedi delle quali continuamente s’infrangono le onde spumeggianti; la fantastica torre che ne orna la porta d’entrata; la graziosa piazzetta al lido e l’antico castello su in alto, in torno a cui l’ulivo e il fico stendono i loro fruttiferi rami, le mura cadenti di vetusti edifici, stranamente connessi agli scogli e alle rocce. Il tutto dominante dalla mole del castello (originario del XII secolo, ma ricostruito nel XVI). La chiesa parrocchiale di San Lorenzo, edificata  nel 1116 e ripresa in epoche successive, si presenta con una facciata nella quale  elementi romanici ( il portale) si uniscono ad altri gotici e rinascimentali. Sul sottile promontorio roccioso dell’Arpaia, proteso sul mare, abbiamo incontrato la grotta di Lord Byron, una vista mozzafiato che abbraccia la piccola baia e finalmente gli avanzi del gotico tempio di S. Pietro sull’ultima rupe che signoreggia due mari, presentano allo sguardo un panorama insolito e nello stesso tempo pittoresco. Questo superbo edificio , eretto nel 1277 e costituito da due corpi diversi, il maggiore dei quali sovrastato da un campanile. Nell’interno, in stile gotico, una piccola navata conduce a una chiesa paleocristiana del V - VI secolo. Non dobbiamo quindi meravigliarci se un tempo trovò qui culto e omaggio la dea dell’amore, figlia dell’onde. Venere infatti vi fu, all’epoca del paganesimo, adorata.

Nel secolo XII sulle  rovine dell’antico tempio si erigeva una chiesa dedicata a S. Pietro. “Posa essa su alta rupe di marmo portoro e di là si gode vista magnifica, e l’occhio, vagando sul mare, alla Capraia, alla Corsica lontane”.

Oltrepassata la batteria di san Francesco, e lasciata indietro la punta della Castagna, tutta ricoperta d’ulivi, si  a un basso promontorio su cui siede la fortezza di S. Maria, costruita dai Genovesi nel 1569, rovinata dagli Inglesi nell’800 e poi riparata dai Francesi.

Seguendo un sentiero quasi pianeggiante, si giunge a S. Maria, da dove si scopre, in tutta la sua pompa maestosa, la città di La Spezia, circondata dalle rive dell’incantevole suo golfo.

Di fronte alla costa di Portovenere si trovano le tre isole di Palmaria, Tino e Tinetto, (che sono state incluse nel sito del Patrimonio Mondiale, al quale abbiamo attinto per la parte storica e paesaggistica  di questo nostro intervento sulle Cinque Terre),” non solo per la loro bellezza, ma anche perché vantano numerosi resti di monasteri eretti nei primi secoli del cristianesimo. Palmaria e Tino sono soggette a servitù militare, in quanto vicine alla base navale di La Spezia, sull’altro lato del golfo, e per questo hanno conservato una ricca vegetazione, con leccete, pini d’Aleppo e macchia mediterranea”.

Perché la Liguria é meglio della Costa Azzurra?

Basta pensare a questo triangolo di paradiso terrestre , dove natura e bellezza si fondono in un unico ed armonioso quadro, per comprendere che cosa vuol dire Liguria. Il suo vero nome é il “Tigullio”, che comprende Portofino, San Fruttuoso, Santa Margherita, Zoagli, Rapallo e  poi, per completare l’opera del Divino Maestro, vi é  la Costa frastagliata delle Cinque Terre. Queste fortunate località, osservate dall’alto o dal mare, come stiamo facendo noi oggi, si presentano veramente incantevoli. Risalta nel panorama ampio e meraviglioso nel modo stesso in cui una perla brilla in un gruppo di pietre preziose. E’ un grazioso alternarsi di capi e di insenature spumeggiate dalle onde del mare e accarezzate dalla brezza marina, di pianori  punteggiati di piccole casette colorate, di colline tutte verdi, di quel verde tutto speciale: un colore  particolare tutto suo, quello dei vigneti e degli oliveti, dei pini e più in alto dei castagneti,  e poi, vi é il mormorio del mare limpido; in alto, sopra il sorriso della poca  terra: una terra aspra e frammista alle grigie pietre, vi é la volta splendidamente azzurra del cielo, intorno l’aria mite e sana di una eterna primavera. Ecco perché in questi luoghi, la longevità degli abitanti supera di molto l’età media degli individui  delle altre regioni del nostro Paese.

Cinquant’anni fa, subito dopo la fine del secondo conflitto  mondiale, passando dall’Italia alla Francia, si aveva l’impressione di uscire dalla barbarie ed entrare nella civiltà. Di qui confusione, case con l’intonaco sbrecciato, strade sporche, macere in ogni luogo. Di la ordine, un lungomare pulito, abitazioni restaurate, giardini curatissimi. Dopo molti anni, ho fatto lo stesso percorso e mi sono accorto che le parti si  erano invertite. La nostra stessa impressione,  l’ebbe anche il sociologo Francesco Alberoni,  visitando Nizza, Montecarlo, Antibes e Cannes, che erano cresciute in modo mostruoso. Egli così scrive in un suo articolo: “ Valli, un tempo deliziose, pieni di palazzoni squadrati, coste schiacciate da immense costruzioni che ne hanno alterato il profilo naturale. Oppure, come a Cannes, casermoni di cemento che si estendono fino al parco naturale di Estèrel, senza più nemmeno il verde.

Così - prosegue il sociologo -  tornando, si ha l’impressione di rientrare nella civiltà. Le cittadine italiane hanno conservato la loro fisionomia tradizionale. Anzi, appaiono ripulite, fresche, colorate, accoglienti. Ed é così per tutta la costa tirrenica con gioielli come Camogli, Rapallo, Portofino, San Fruttuoso, Sestri e le Cinque Terre. La Versilia é fatta di case basse, immerse nel verde, e continuano così fino a Marina di Pisa. Poi c’è Livorno e la bellissima costa di Grosseto, fino a Roma. Ma é conservato anche il meraviglioso litorale laziale e campano. Con posti incantevoli e intatti. E solo nel sud della Calabria che incominciano ad affollarsi sul mare delle brutte costruzioni abusive, mentre il resto della Regione, nel suo complesso, é meraviglioso, specialmente nell’Aspromonte, dove la natura é rimasta intatta, come pure   i suoi villaggi che sono rimasti inalterati nel tempo”.

“Chi ha salvato queste coste, questi paesi? Qualcuno risponderebbe che é stata la nostra arretratezza, il nostro immobilismo. Non é vero. Le città italiane sono cresciute enormemente. E in molte, c’è un contrasto evidente fra la bellezza del centro storico e la bruttezza della parte moderna. In alcune, come Lecce, dove il centro  aveva uno stile inconfondibile, si vede il punto esatto dove incomincia l’opera nefasta degli urbanisti, ingegneri, architetti e geometri del dopoguerra, con strade strette, case altissime. Negli anni Ottanta e Novanta l’architettura, forse, é migliorata, ma sono aumentati il disordine  e lo spreco di spazio”.

Nei nostri  continui spostamenti fra una Regione e l’altra del nostro meraviglioso Paese, per motivi  di servizio, quale appartenente  all’Arma Benemerita, abbiamo avuto modo di comprendere, che questo nostro stupendo e impareggiabile   paesaggio é stato salvato dagli abitanti e dagli amministratori dei piccoli centri italiani che hanno custodito gelosamente le loro tradizioni, il gusto e lo stile di vita dei loro antenati. Tutto questo, lo stiamo ammirando anche oggi, mentre stiamo visitando questi  minuscoli borghi marinari delle Cinque Terre. Questi luoghi, sono stati salvati da gente orgogliosa della bellezza del suo territorio , e della sua cultura. E che ha avuto la forza di rifiutare quanto, in questi anni, é stato presentato come la strada verso la ricchezza e il progresso.  Minuscoli porti turistici,  grandi e complessi alberghieri sulla spiaggia, sterminati condomini con piscine, campi di tennis, da golf, per attirare le masse urbane del Nord Europa, come ha fatto la Francia e la Spagna.  Se vogliamo, anche nella Costa dell’Adriatico, troviamo cittadine dove sono sorti grandi complessi alberghieri, piscine e molti altri svaghi, sempre per attirare i turisti dagli altri Paesi, che si affacciano nel Mediterraneo, però, dobbiamo dire, con nostra soddisfazione, che questi centri sono stati costruiti con razionalità e conformità ai principi della ragione, senza trascurare  il paesaggio  ed i vecchi borghi medioevali, che sono rimasti intatti.

La nostra gente, i nostri amministratori si sono invece trovati d’accordo a proibire le costruzioni per luoghi più belli, a limitare l’altezza degli edifici, a favorire il restauro e la conservazione. Di recente, a Taormina, ho sentito quanto orgoglio provino i suoi abitanti per la bellezza della loro città, che hanno conservato intatta, pulita e ospitale.  Ma lo stesso, come abbiamo potuto constatare nel nostro ultimo viaggio nelle isole Eolie, come pure avviene a Positano, a Sorrento, a Capri e a Lucca. In questo spirito diventa possibile la valorizzazione turistica dei modi di vita, e persino del cibo locale. Dai giacimenti golosi, come  li chiama Giampaolo Fabris. Un turismo che potremmo chiamare dell’intimità culturale. Che vive del valore delle differenze e rifiuta tutto quanto é standardizzato e uniforme.

Quello che stiamo facendo noi con l’Ente Valle, é appunto un turismo che potremmo chiamare, anzi lo abbiamo così definito, dell’intimità culturale, sempre alla scoperta delle  meraviglie apparentemente nascoste, che  fanno parte del Patrimonio Mondiale .

 Come ricorda il direttore generale dell'UNESCO Federico Mayor Zaragoza: “Ogni Paese, grande o piccolo che sia, va giustamente orgoglioso delle ricchezze naturali e culturali che possiede, dei capolavori riconosciuti da tutto il mondo che costituiscono un’eredità del passato per le generazioni future”. Mentre il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli,  così scrive , nel presentare l’iniziativa editoriale, realizzata in collaborazione con l’UNESCO:

 “Un  antico proverbio, ripreso da Antoine de Sant - Exupery, tramanda un insegnamento prezioso: la terra che si possiede, o si coltiva, come la natura con la quale conviviamo ogni giorno, non ci appartiene. L’abbiamo presa in prestito dai nostri figli. E a loro che dovremo restituirla. Protetta, migliorata, arricchita. Non potremo mai ritenerci appagati per quello che facciamo, dovremo invece sentirci in colpa per quello che non facciamo. Per l’incuria a cui condanniamo i nostri principali monumenti e le poche oasi naturali rimaste che padri previdenti ebbero la bontà di restituirci  in ossequio a quell’antico proverbio che non conoscevano.

Ferruccio de Bortoli, così prosegue dicendo: “Il patrimonio dell’umanità é immenso ma limitato. E ogni volta che se ne perde un pezzo, anche una sola piccola e invisibile parte, viene meno quel patto non scritto che abbiamo stipulato con i nostri genitori che ce lo affidarono, come ricorda opportunamente il direttore generale dell’UNESCO Federico Mayor Zaragoza, ma anche con i nostri figli e nipoti cui abbiamo il dovere di passarlo. O meglio restituirlo. Il mondo appartiene a loro. Anche se non sono ancora nati”.

Concludere questo nostro viaggio nell'Oasi delle Cinque Terre, non é affatto semplice. Giungendovi per la prima volta, si ha l’impressione di essere elevati in un mondo dove non regna che la poesia. Luoghi che rappresentano l’espressione dell’aspirazione universale alla bellezza e alla trascendenza, che sta al di sopra della realtà terrena.

 Luoghi, che seppure nella loro modesta vastità, hanno lo stesso splendore del Grand Canyon negli Stati Uniti d’America, che in passato, abbiamo avuto il privilegio di ammirare nella sua grandiosa bellezza, come pure i monasteri delle Meteore in Grecia, sono nello stesso tempo meraviglie della natura e compendio degli infiniti modi di cui si é nutrita l’immaginazione umana.

Questi tesori culturali delle Cinque Terre, sono eredità del passato e patrimonio da preservare per le future generazioni.