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IL PARCO  NAZIONALE  DELLO  STELVIO

Domenica 8  Settembre 2002.

Oggi  é l’anniversario del nostro matrimonio. Non c’era  luogo più bello per festeggiare il 45 esimo del nostro matrimonio, che essere in un luogo così bello a contatto con la natura, avendo come sfondo il Parco Nazionale dello Stelvio. Non c’è stata nessuna commemorazione o festeggiamento, ma in tono smorzato, quasi di nascosto, abbiamo ritenuto di festeggiare questa  ricorrenza in un modo strettamente personale, privata. Si, perché questo fatidico giorno, non é altro che il ricordo di tempi lontani, di giorni felici che appartengono soltanto alla nostra vita.

Per rievocare questa dolce ricorrenza, avremmo dovuto ripetere il lungo viaggio attraverso le più belle città del nostro meraviglioso Paese, che ci videro felici e spensierati in quel lungo viaggio della luna di miele: il primo periodo della vita coniugale é in particolare quello appunto del viaggio di nozze . Appassionati della montagna, senza andare così lontano, non c’era luogo migliore per rievocare questa felice ricorrenza. In tutti questi anni di matrimonio, che sono una intera vita di convivenza, l’abbiamo definita l’intimità psichica, ma invece é una prossimità spirituale, una confidenza profonda, che non si dovrebbe mai arrestare . Tutto questo é un dialogo continuo su noi stessi, sui problemi che via via si sono  presenti man mano che gli anni inesorabilmente sono passati. Fino ad oggi, é stato un sentire, pensare, lottare insieme, fianco a fianco, nella buona e cattiva sorte. Spesso ci domandiamo , ma come si può conservarsi questa intimità nel tempo? La psicologia che studia questi momenti di transazione fra due coniugi, ci dice che c’è una regola ben precisa da seguire? Per trovarla, se noi adulti ci siamo dimenticati, basta osservare  gli innamorati. Essi, pur essendo pieni di slancio, sono prudenti verso l‘amato. Hanno paura di sbagliare. Cercano di presentargli la parte migliore di loro stessi, di fargli piacere. Perciò si interrogano sui suoi bisogni, le sue  insofferenze, i suoi ideali per non urlare la sua suscettibilità.

La regola aurea per conservare l’intimità nel passare degli anni é di trasformare questa cura, questa attenzione delle origini in una modalità di agire quotidiano, in una abitudine. Dobbiamo far diventare abitudine tutti i comportamenti che giudichiamo importanti per il nostro amato, che gli fanno piacere, che lo confermano nel nostro amore. L’attenzione, la premura, il rispetto, che avevamo nei primi momenti dell’amore quando ci facevamo la corte e, incontrandoci, avevamo il batticuore. Tutto questo succede anche adesso. Quando ritarda, quando non la vedo arrivare, attendo con trepidazione e il batticuore. Che cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che il mio amore é lo stesso di quando ci facevamo la corte.

Nel momento in cui abbiamo trasformato un comportamento in abitudine, non facciamo più fatica, ci comportiamo con naturalezza. Non pensiamo più a come mettere i piedi quando camminiamo. Non cerchiamo i vocaboli quando parliamo. Lo stesso avviene quando notiamo o guidiamo l’automobile.

L’abitudine si costruisce lentamente. La donna continua a prepararsi ogni mattina, si pettina, si trucca, si veste con cura, per piacere. Quando esce e quando rientra continua ad avere gli stessi gesti affettuosi. Che così diventano parte della sua natura. Allo stesso modo il marito impara a non mostrarsi con la barba lunga, a non lasciare in giro le scarpe, a non alzare la voce, ad avere le attenzioni e i gesti amorosi dei primi tempi.

Questi piccoli atti, all’apparenza insignificanti, diventano, in realtà, i simboli di una cura duratura. E costituiscono la più solida cornice dell’intimità. Dall’intimità psichica perché questa richiede, talvolta, anche di confessare verità amare, dolorose, di rivelare le proprie deficienze, i propri errori, di chiedere aiuto. Dall’intimità fisica che si manifesta nel rivelarsi fragile, malato, sofferente.

 Fra di noi, oltre che un marito e una moglie, in tutti questi anni trascorsi insieme, abbiamo avuto sempre la certezza di trovare sempre un alleato fedele, che non vacilla e non si turba, pronto a lottare, al suo fianco, contro gli ostacoli della vita.

Dopo questa breve riflessione  e rievocazione del  nostro 45 esimo anniversario di matrimonio, riprendiamo a parlare della nostra escursione nel Parco Nazionale dello Stelvio.

 Dalle ampie pacate  cadenze della brumosa pianura Padana, s’alza  l’estro arioso dei colli, dispiegati negli anfiteatri morenici del Benaco e del Sabino. Ecco, alle prime luci del sole, ci appare l’incanto del lago d’Iseo, in una veste più bella, una bellezza tutta sua, pensosa e romantica, come una fanciulla il mattino del suo matrimonio e nell’attesa luna di miele. Un grande scrittore ha scritto: “ Il Garda ti rapisce  e quasi ti annulla nel dominio della sua sovrana bellezza; il lago d’Iseo ti accoglie, nei più vicini richiami delle sue rive, in un’intimità di aspetti che assumono il colore e la poesia della tua anima. Dolce e fresco come un’egloga virgiliana, fu detto dalla Sand e, infatti, la serena, leggiadra riviera bresciana da Iseo a Morone e le spiagge romite di Montisola, scendenti nelle acque cogli ulivi protesi alla luce, allacciati dai pampini e dalle  edere e certe case antiche, aperte al sole colla paesana architettura dei portici e delle logge, recano alle nostalgie del cuore  allo stesso modo di due innamorati in luna di miele, in quel senso di pace  e di poesia che sembra di altri tempi. Non so  se ancora oggi, questa poesia amorosa, é la stessa di quella di tanti anni fa. Sicuramente, é la stessa di allora, perché l’amore non può avere altri cambiamenti.

Proseguendo il nostro viaggio, questi paesini incantati, queste visioni da sogno sfilano uno ad uno come un fotogramma e si vanno a fissare nella nostra memoria. Ma sopra il borgo incantato di Morone le montagne si adergono con uno slancio maestoso di linee e l’egloga si muta in una poesia austera di nude cime, assorte nel cielo in vigile silenzio. I nostri amici Marisa e Fabio, che siedono vicino a noi, ci fanno notare l’isola più grande dei laghi italiani,  dispiegata in ubertosi declivi a contemplare la cangiante visione del lago. La navigazione di quell’isola, un giorno lontano, li vide felici in un giorno di allegria. E’ successa la stessa cosa anche a noi, nel circumnavigare l’isola di Capri, con i suoi meravigliosi Faraglioni. Rievocare il passato, non é altro che rivivere il nostro presente. Ma anche quel punto trasvola così rapidamente dal futuro al passato da non avere  estensione alcuna di durata.

Una lunghissima galleria scavata nella montagna, ci  toglie così drasticamente la visione bellissima del lago. In men che si dica, eccoci nella valle Camonica, che ascende dagli ulivi del Sabino fino ai valichi eccelsi del Tonale e del Gavia. Ampia e ubertosa nel bacino inferiore, si fa più alpestre verso Edolo, dischiusa su valli laterali e su sfondi di vette maestose come il Pizzi Badile e la Concarena. Nel centro della valle raggiungiamo la romana Cividate coi suoi vestigi di terme, di tombe, di lapidi, e Breno, feudale, con le poderose mura del suo castello. E in ogni luogo sono ricordi della storia Camuna. Antiche pievi, come le chiese romaniche di san Siro a Cemmo o del Monastero a Capodiponte; torri , castelli, case ornate e forti delle famiglie potenti; scuri e tristi avanzi delle vecchie, famose fucine che battevano stupendamente il ferro con i magli mossi dalle acque, che ora, derivate dalle alte prese nelle centrali elettriche, sprigionano l’energia per prodigiose distanze.

La storia di questi luoghi ci racconta, che é mirabile il tesoro che il popolo di una valle così lontana dai centri artistici ha portato lassù per fare più belle le sue chiese nella maestà religiosa dei monti. Lavori preziosissimi di oreficeria e di scultura, quadri di artisti gloriosi, affreschi del Romanino e di un pittore che appare come una sorpresa a chi lo ignora: Pietro da Gemmo che, disceso al piano delle native montagne, vide il primo fiorire della scuola lombarda e ne trasse ispirazione per un’arte nobilmente ingenua.

Il nostro pesante pullman, condotto dalla brava signora Cinzia, supera con  professionalità la valle di Edolo, che si fa tutta alpestre. Vette altissime levano sugli sfondi il cristallino fulgore delle nevi eterne. “ L’Adamello, il massiccio dominatore della valle, che fin dal lago d’Iseo si scorge alto sulle cime quasi come una nube che tutta si accende al tramonto dell’ultima bellezza del giorno, é là colla sua sovrana presenza: immensa massa granitica e insieme visione fantastica. Chi ascende a quelle solitudini, dove la vita tace nei silenzi dell’infinito, trova intatti, parlanti al cuore, i ricordi della Grande Guerra che ebbe su quei baluardi alpini l’altra più alto del sacrificio per la Patria. Le montagne - già spettatrici dell’impeto garibaldino a Vezza d’Oglio- videro nei loro domini eccelsi imprese da leggenda. Lassù gli alpini nostri stettero saldi come rupi quando, in un’ora terribile, la Patria poteva essere con loro travolta e di là si lanciarono, primi, sulla rotta definitiva del nemico per le vie aperte verso i nuovi confini d’Italia”.

La “ Razza”.

Mentre transitavamo da Pontedilegno, il centro più importante dell’alta Val Caminica, per le sue fortificazioni, durante gli eventi bellici del 15/18, che era il sostegno e supporto in caso di rottura dell’antistante prima linea Ercavallo - Montorso - Tonale . In questi ultimi tempi, é diventata famosa, oltre che per la sua posizione strategica, perché sede estiva dell’On. Umberto Bossi, che dal piccolo castello medioevale,  esterna spesso  questa sua ostinazione fissa, questo suo pensiero maniacale sull’emigrazione e sul “devolution”: il trapasso dei poteri dallo Stato alla Regione della Padania e alla sua  razza . Questo suo chiodo fisso, che gli rode il cervello, lo esterna non solo  da Ponte di Legno, ma anche dai suoi annuali raduni dalle sorgenti del Po e della Laguna. Egli si é dimenticato della storia di questi luoghi e del Piave. Sono i siciliani, i calabresi, i piemontesi, i lombardi e i napoletani. Sono quelli che nel 1918 hanno fermato gli austriaci sul Piave e su queste montagne del Gavia ,  dell’Adamello e del Tonale e lungo il fiume Oglio. Ma prima di loro, ci sono stati i “garibaldini” a Edolo , Vezza d’Oglio  e Ponte di Legno e in tutta la Val Camonica.

Quelli  che dopo Caporetto, hanno capito che bisognava tener duro per non subire un’invasione. Per dirla chiara: la razza del Piave e quella Lombarda ha poco a che fare col Veneto. Sicuramente non ha nulla a che fare con l'ideologia dell’On. Bossi e con il sindaco Gentilini.

Parlando di razza, ci viene in mente un dibattito giornalistico tra Rigoni Stern e Sgorlon, un veneto e un friulano. C’è il confronto con due mondi, due anime schiette nella loro profonda, talvolta abissale diversità.

La Razza del  Piave e quella Padana, é un’espressione impropria, Gentilini non é solo leghista, é campanilista come del resto é anche Bossi: il campanilismo é un fatto reale. Campanilismo c’è tra Slovenia e Venezia Giulia, o tra Udine e Trieste, basta una partita di calcio a scatenarlo. Lo si é visto pochi giorni fa nel campo sportivo di Trieste, dove si giocava una partita amichevole con la azionale azzurra e quella Slovenia.

Ci é stato chiesto a  Sgorlon dal  giornalista Paolo Rumiz: “ Parlare di razza  non é pericoloso? “ Parlare di razza é pericolosissimo sempre. Quando lo fa il sindaco di Treviso, ma anche quando gli altri accusano il prossimo di  essere razzista. E’ vero, a volte c’è razzismo vero e proprio. Ma altre volte c’è solo buon senso. Anch’io sono stato accusato di razzismo, solo perché guardo alla realtà senza retorica, penso che gli uomini siano sì uguali sul piano filosofico, ma molto diversi su  quello culturale. Questo non é razzismo. E’ il riconoscimento delle differenze. Nella mia narrativa parlo con  simpatia di zingari, cosacchi, ebrei, russi”.

Mentre per Rigoni Sterni, “la parola razza ha fatto già abbastanza danni. Hitler ha parlato di razza, Mussolini pure. Ora lo fanno i loro piccoli eredi, come questo Gentilini. Lo mandaria mi a lavorar, Gentilini, nelle miniere americane, come ha fatto mio nonno, mio fradel e tanti miei compaesani di guerra e di residenza. El savoria cossa vuol dir lavorar. Cosa vuol dire essere ingaggiati come bestie, senza neanche una baracca dove dormire”.

Giorno dopo giorno, assistiamo impotenti e impassibili al pellegrinaggio degli immigrati del terzo mondo, con le note conseguenze. Sulle nostre coste, quasi ogni notte, si verifica uno sbarco di disperati in cerca di un pezzo di pane, di un lavoro  e di un tetto per dormire. Spesso questi sbarchi si concludono tragicamente con l’annegamento di vite umane.  Rigoni Ster, così si esprime in merito agli immigrati: “  Io vedo che senza gli  stranieri l’economia crolla. Vedo che la montagna muore, perché nessuno va più nelle malghe. E poi, l’Italia non é il Paese con la più bassa natalità del mondo? Ora in montagna xe paesi de mille abitanti dove l’anno scorso non xe nato neanche un puteo...... Ah, magari ci fossero matrimoni misti! Gli farebbe solo bene. E magari la gente capirebbe che loro sono eguali a noi. Insomma, é tutto così chiaro: qui succede una cosa vecchia come il mondo. Quel che ga, i vuol aver de più - quelli che hanno vorrebbero avere sempre di più - e quelli che hanno poco finiscono col restare fuori”.

L'immigrazione può cancellarci?

Rigoni Stern, così risponde a questa domanda: “Io vedo invece un pericolo reale. Noi italiani limitiamo le nascite, cosa indispensabile alla salvezza del Pianeta; e i musulmani no. Fra cent’anni potrebbero essere in maggioranza anche in Italia, e non sono certo una cultura tollerante. Di più: quando diventano una minoranza consistente, quasi sempre fanno la guerriglia per spaccare uno stato. Pensi alle Isole Salomone, alle Marianne, alle Filippine, a Giava, a Sumatra. Pensi all’India, Pachistan, Palestina, Niger, Nigeria e molti stati africani.

Cresce per reazione il nazionalismo delle piccole patrie?

“ E’ normale che ci sia un istinto di autodifesa, ma non bisogna esagerare. L’ideale é avere il senso della propria Heimat senza arrivare al campanilismo, che é un nazionalismo in piccolo, e quindi anche un po' ridicolo. Ma che le vada in mona le piccole patrie. E’ ora di finirla. In Russia, nella neve, ho capito che al mondo siamo tutti paesani. Nella steppa ho trovato un polacco che nel 1918 aveva fatto la guerra ad Asiago; nel mio paese! Mi offrì birra e tabacco, si sentiva mio parente! Guai a mollare su questo! Crolla tutto. Dicono che la gente abbia paura degli immigrati. Ma la gente non capisce più niente. Ieri era diverso. Nel 1935 arrivò ad Asiago un ascoro a vendere le sue cose in piazza. La gente lo guardò con curiosità, mai con disprezzo. Oggi non c’è nemmeno la curiosità”.

Ecco cosa é rimasto in ognuno di noi degli immigrati, nemmeno la curiosità. Quest’anno, come del resto succede tutti gli anni, sulle bianche piagge della Costa Romagnola, come per esempio a Cattolica, abbiamo visto centinai di “ Vo cumprà”. Ormai, non ci facciamo più caso, perché infondo, siamo convinti che sono gente come noi, che ci ricordano il nostro passato prossimo di emigranti nel mondo.

Superato la cittadina di Pontedilegno, il torpedone si é fermato nel piazzale della borgata  di Santa Apollonia, a quota 1595 metri ( all’inizio della Valle delle Messi). In questa località, come succede spesso, il gruppo si é diviso in due tronconi. Il primo, ha proseguito la boscosa costiera E della cima Bles di Somalbosco con il sentiero 54, uscendo sui prati delle malghe di Somalbosco a metri 1952 prima  e di Previsgai  m. 2159 poi. Sempre, con  moderata pendenza, con un eccezionale panorama sui monti ed i ghiacciai dell’antistante versante N dell’Adamello e sulla costiera Corno Tre Signori. Montozzo e Tonale. Si prosegue poi su comodo sentiero militare che a quota m. 2300 circa diventa segnavia 55 fino alla Bocchetta di Val Massa m. 2499. La caratteristica della “ bocchetta” sta nell’ospitare” diametralmente in quasi tutta la sua lunghezza uno spettacolare sbarramento difensivo di circa un chilometro, con camminamenti, scale, postazioni per armamenti vari: può definirsi una piccola muraglia cinese che segue le ondulazioni del terreno. Ai margini “ E” della bocchetta, sono visibili una serie di altri camminamenti e postazioni “ a balconata”, sospese sulle sottostanti vali delle Messi e di Pozzo. L’area strategica dal punto di vista militare, sta anche ad indicare una posizione aerea e di gran visibilità oltre che sul settore Gavia - Tonale, anche sul versante “ N” del vicino Adamello. La fortificazione durante gli eventi bellici 15/18, era di sostegno e supporto in caso di rottura dell’antistante prima linea Ercavallo - Montorzo - Tonale. Dopo la visita alle fortificazioni s’inizia la discesa di  ritorno fino al borgo di Santa Apollonia. L’amico Lino  Di Mauro,  capogruppo del CAI e, quindi, responsabile dell’escursione, mi ha incaricato di seguire  la squadra che non era intenzionata a raggiungere le alte mete della Bocchetta di Val Massa e, con segnavia numero 58, partendo  da Santa Apollonia, abbiamo raggiunto la Baita di Caione, che é sita a 2050 metri. Quella che abbiamo percorso, é una piccola valle di un verde particolare, un verde smeraldo che é caratteristico proprio  di quella montagna, punteggiata da piccole baite. Ogni gruppo di case ha il suo nome inciso sul muro: Case Sillizzi Palazzo, Case degli Orti, Case Pradazzo, e per finire la Baita di Caione, località raggiunta dalla nostra squadra.  Oltre a questi gruppi di baite, la piccola valle e percorsa dal torrente Oglio Frigidolto, che da Pontedilegno prende il nome di Fiume Oglio, che alimenta il meraviglioso lago d’Iseo.

Piccole case di legno e di pietra,

Case annerite dall'incuria e dal tempo ,

 immerse nel cuore verde della pineta.

Baite basse, separate da piccoli carruggi,

Che  sembrano  villette, ma sono minuscoli rifugi.

Camminammo a lungo prima di arrivare in cima alla montagna dove nasce il fiume Oglio. Mentre salivo ricordavo le parole di  Sirio, la stella più brillante della costellazione del Cane Maggiore e di tutta la volta celeste: “La vita é uguale a un fiume che nasce come un piccolo rivolo sulle alte montagne dove tutto é pace, purezza e silenzio”. Seguendo il suo corso fino al mare si può conoscere la vita.

Lungo il sentiero sassoso che si snodava fra gli alti e verdi abeti, a poca distanza dalla piccola valle e dalle ultime baite, costruite da grigie pietre portate dal fiume a da tronchi rossicci di grossi  abeti , un profumo intenso mi ricordava giorni lontani, i giorni della mia fanciullezza, quando ci recavamo nei boschi dell’Aspromonte, in giornate come queste, che precedono l’autunno, per raccogliere i funghi . Mentre le mie narici percepivano questi profumi di  terra fermentata e dei fiori del bosco, che l’amica Marisa e Fabio raccoglievano in piccoli mazzolini, per ricavare un’ottima tisana, pensavo a molte cose.  Cercavo di rievocare il giorno del nostro matrimonio. Rivedevo i volti  felici delle persone care e dagli invitati, il corteo delle macchine ed in fine il fatidico “ Si”, pronunciato con voce silente, che faceva trasparire una grande emozione. Oh, si, quanti ricordi! Questi ricordi, sgorgano uno ad uno dalla mia mente, come l’acqua che sgorga dalle rocce e forma questo querulo ruscello, che poi forma a sua volta il fiume della vita.

Passo dopo passo, salivo quei piccoli tornanti dell’aspra montagna, dove davanti a noi si apriva uno scenario meraviglioso di montagne frastagliate, di cascatelle rumorose e di ruscelli chiassosi, e più salivo e più la mia mente si apriva, e anche gli avvenimenti lontani mi apparivano molto vicini: credevo di ascoltare le parole di mia madre e di mio padre che mi davano i primi insegnamenti della vita.

Poi, a un tratto, mi fermai  su quel  sentiero sassoso, mi voltai per assicurarmi se tutto procedeva secondo il nostro piano. In quella piccola sosta, due dei nostri amici, Maria e Bruno   si erano fermati: Avevano ragione, la salita si faceva sempre più ripida. Li consigliammo di fare retro marcia, che più tardi li avremmo raggiunti.

La montagna che dovevamo raggiungere era lassù, nascosta tra le nuvole basse e biancastre. La sua vetta era  quasi viola, il suo profilo assomigliava a quello di un animale addormentato. Mano a mano che salivamo, la vegetazione si faceva sempre più scarsa. Già da un pezzo, gli abeti, i pini, le felci e le siepi si erano diradate, apparivano soltanto le rocce e ciuffi d’erba quasi secchi. Tutto quel mondo silenzioso e disabitato aveva l’apparenza di un sogno. A tratti una voce pareva ripetermi le parole di Khalil Gibran:

“Forse hai sentito parlare della montagna

Benedetta. Qualora tu ne raggiungessi

Mai la cima, proverai un solo desiderio:

Scendere e trovarti con chi abita a valle, in

Quelle casette di legno e di pietra,

Dove vivono la loro vita con tanta

Maestosa religiosità dei monti.

Ecco perché si chiama la montagna benedetta”.

 Oltre a queste vici che avevano l’apparenza di un sogno, come i luoghi silenziosi che stavamo percorrendo, l’unica cosa di reale che percepivo, era il continuo chiacchiericcio del giovane torrente, che più a valle diventa Oglio: un fiume che bagna Gazzuolo e prima di buttarsi nel Po, sfiora il nostro villaggio di Campitello.

 Così scriveva Giovanni Nuvoletti di questo fiume:

“Acque serene ch’io corsi sognando

Nella dolcezza delle notti estive

Acque che vi allargate fra le rive

Come un occhio stupito, a quando, a quando.

Oh! Nostalgiche acque di sorgiva,

Acque lombarde”.

E poi ancora:  “ c’era  una volta .... Ieri” Vecchia canzone d’amore sempre viva, sentita su le cime dei pioppi alte su le verdi golene del nostro fiume”.   

  ...... Oh, si, conserviamo gelosamente dentro di noi, molti ricordi di questo vecchio fiume, che per oltre dieci anni, ammirammo con rispettosa riconoscenza  le sue golene e le sue fragili sponde, dove il nostro fedele amico “Lessie”, correva felice  fra le gole e gli anfratti.....

Da ogni parte  guardavi, sia a destra che a sinistra, vedevi soltanto montagne brulle e rocciose. Piccole cascatelle, che convogliavano l’acqua del ghiacciaio verso il querelo torrente, mentre  alcuni falchi roteavano alto nel cielo quasi azzurro. Di tanto in tanto, incontravamo qualche escursionista solitario, gente come noi, amanti del silenzio e della natura.  Alla fine della  salita, ci siamo fermati un momento in un piccolo spiazzo, per ammirare il meraviglioso anfiteatro, solcato da una miriade di ruscelli, che ci stavano di fronte. Più in alto dell’orrida montagna, senza vegetazione e segni di vita, vi é il Rifugio Gavia ( m.2541) e un monumento, che ha la forma di una piccola piramide ai Caduti, che sorgono poco discosto dal passo Gavia (2621) per cui transita la strada che da Pontedilegno conduce a S. Cateriana Valfurga.

Così leggiamo di questi luoghi storici e cari a noi italiani,  sul Touring Club Italiano, volume secondo, della Lombardia, edito nel 1931:

  “ Chi tornò dopo la vittoria nei quieti borghi della valle, ripensa a quegli anni con fiero orgoglio, forse nostalgico, come erano nostalgiche lassù le canzoni di guerra. E di canti di guerra risuonò trionfante il Tonale, quando fu liberata nella luce la bronzea, grande immagine della Vittoria bresciana, alta sulle sacre ossa dei Caduti, a bandire nei secoli - come augurò il poeta - il diritto d’Italia sulle vette conquistate e su ogni altra cima a cui l’uomo ascende nei domini dello spirito”.

Alla fine della  nostra escursione in questi luoghi silenziosi e bellissimi, c’è la storia che racconterà questo giovane e chiassoso torrente, e nel pensare a tutto questo ho pensato alle parole di Hermann Hesse, che in parte rispecchiano anche i nostri sentimenti, come pure quelli  di Romano Battaglia, che abbiamo letto in un capitolo del suo libro : “ Il fiume della vita”.

“ Sarà difficile dimenticare tutto quello che

 E’ passato nei nostri cuori. E’ stato tutto

Così puro, così sofferto, così disperatamente

Vero che nessuno potrà mai dire

 Che non sia stato così, anche se quel qualcuno

 Non potrà mai esistere nel giardino

Segreto dei nostri sentimenti.

E’ vero, l’amore é in un posto che conosce

Soltanto chi ama veramente. Può essere

In cima a una montagna, in fondo al mare,

Nell’immensità del  deserto. E’ riconoscibile,

 Come la luce, da distanze infinite

Perché l’amore é luce, una grande Luce.

 

IL MUSEO DI TEMU’.

Per concludere questa nostra bellissima escursione  in questi luoghi  del silenzio, dove regna la pace e l’armonia della natura, fra aspri sentieri e queruli ruscelli, tra il presente del passato che é la memoria, mancava soltanto la visita al Museo della Guerra Bianca in Adamello, nel corso del Primo conflitto mondiale, l’estremità del fronte italo - austriaco attraversava nel bel mezzo due imponenti gruppi montuosi: Ortles - Cevedale e Adamello . Presanella, per cui le due parti in lotta furono costrette a combattere - per oltre tre anni e mezzo - una guerra tipicamente alpina, su posizioni di roccia e ghiaccio ad oltre 3000 metri di quota, in condizioni ambientali e climatiche difficilissime.

Questo Museo della Guerra Bianca in Adamello nasce con l’esigenza di non dimenticare quella drammatica pagina della storia che ha visto come protagonisti gli abitanti delle valli che scendono dal massiccio dell’Adamello - Presanella e che li ha visti combattere fra loro, pur essendo figli delle stese montagne.

Il Museo ha quindi lo scopo di mostrare a noi visitatori gli aspetti, ora lontani, di quegli anni di guerra, a oltre 3000 metri di quota, attraverso le immagini e gli oggetti in esso gelosamente custoditi e di ricordare sempre le sofferenze di allora perché rimangono perenne monito di pace.

Il Museo é costituito da tre sale e da tre corridoi di collegamento. In questi ambienti abbiamo ammirato il materiale che é  stato quasi totalmente recuperato sui ghiacciai dell’Adamello per opera di volontari nel corso di numerosi anni di ricerche. Gli oggetti sono stati diligentemente esposti per condurre il visitatore ad un momento di meditazione e di ricerca storica.

Appena entrati nel Museo, a fianco dell’ingresso, la prima cosa che abbiamo visto é stato l’obice austriaco, che apre il contatto con la realtà di quegli anni. Nella prima sala due grandi scaffalature mostrano un vastissimo campionario di proiettili d’artiglieria, sia italiani sia austriaci. Sulla sinistra, per chi accede in questa sala, é stata costruita una baracca ricovero, sullo stile di quelle esistenti in Adamello, nella quale sono gelosamente riposti tutti gli oggetti riguardanti la vita da campo: stufe, panche, coperte, gavette, ecc. Accanto alla baracca trovano posto alcune mitragliatrici e la targa commemorativa dedicata al fondatore del Museo.

In una teca vi sono esposte bandiere, fotografie d’epoca che coronano l’allestimento della sala. Man mano che si avanzava verso le altre sale, abbiamo ammirato alcune delle slitte da trasporto recuperate nel corso degli anni, scudi da trincea, reticolati, e le vetrine contengono armi portatili austriache, oggetti di uso personale, attrezzature alpinisti che, bombe a mano e da fucile e altri oggetti del corredo del soldato dell’Adamello. Quello che abbiamo notato, é che in questo Museo, sono scarse le armi in dotazione alle nostre truppe. La maggior parte delle armi in esso contenute, sono quelle in dotazione alle truppe austriache. In una teca, fra diversi fucili austriaci, tedeschi e ungheresi, vi é un  fucile italiano modello  91, con baionetta incorporata, simile  al moschetto 91/38, che fino agli anni Settanta, era in dotazione all’Arma dei Carabinieri. Conosco molto bene quell’arma, per averla avuta in dotazione per oltre 20 anni.

Ritornando alla Guerra Bianca, i nostri avversari avevano disposto trinceramenti e scavato caverne un po' dovunque, lungo la linea del fronte che collega i Monticelli alle alture del Tonale orientale. Inoltre avevano occupato anche i Passi Paradiso,Castellaccio e Lagoscuro che dominava la conca di Ponte di Legno.

La nostra escursione odierna, ha toccato la “ bocchetta” di Val di Massa, situata a 2500 mt. E da questa località sono visibili una serie di altri camminamenti, scale e postazioni per armamenti vari: può definirsi una piccola muraglia cinese che segue le ondulazioni del terreno. Ai margini “E” della bocchetta, sono visibili una serie di altri camminamenti e postazioni” a balconata”, sospese sulle sottostanti valli delle Messi e di Pezzo. In queste località, come pure in tutto il settore interessato dagli eventi bellici, sono stati rinvenuti tutti i cimeli che sono conservati, appunto nel Museo di Temù.

 L’area strategica dal punto di vista militare, sta anche ad indicare una posizione aerea e di grande visibilità oltre che sul settore Gavia - Tonale, anche sul versante “N” del vicino Adamello. La fortificazione, durante gli eventi bellici del 15/18, era di sostegno e supporto in caso di rottura dell’antistante prima linea Ercavallo - Montozzo - Tonale.

La località di Santa Apollonia, é stato il punto   d’arrivo e di partenza delle due squadre: La prima, quella della Bocchetta di Val Massa , mentre la seconda  lungo il sentiero dove scorre il fiume Oglio Frigidolto, costellato appunto di case rurali con architettura tipica Camuna.

 

Tutti i ruscelletti e cascatelle, che sgorgano dall’anfiteatro pietroso del Gavia, formano più a valle  il querulo torrente che dopo Ponte di Legno, diventerà Oglio. Questo pietroso anfiteatro, che nel 1915/18, fu teatro di guerra, dove i nostri soldati combatterono questa guerra sempre più sanguinosa, costituisce un monito per chiunque avesse orecchie per intenderlo. Ricordando questo chiassoso torrente, ci torna in mente una bellissima poesia del poeta inglese A.E. Housman che ritrasse la crudeltà della guerra nella poesia. ( Il ragazzo dello Shropshire).

“Sul pigro colle estivo,/ sonnolento al fluire dei ruscelli,/ odo lontano il tamburino incessante/quel suono in sogno tambureggiante/.

Lontano e vicino e piano e forte/ sulle strade della terra passano/cari agli amici e carne per il cannone/ i soldati marciano, tutti alla morte/.

A est e a ovest su campi dimenticati/ sbiancano le ossa dei compagni trucidati,/ bei ragazzi e morti e marciti;/ chi parte mai più ritornerà.

Lontano squilla il richiamo della tromba,/ alto risponde il grido del piffero,/ liete seguono le file scarlatte:/ son nato di donna, risorgerò.”