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NEL CUORE DELLE OROBIE

12 Maggio 2002.

Incominciamo col dire che il settore delle Prealpi é compreso tra il Lago di Como e la Val Camonica e prende il nome di Alpi Orobie: un mondo a sé, sia per la natura geologica e la copertura vegetale che lo differenziano da ogni altro angolo di Alpi e Prealpi, sia per le sue valli che nei secoli hanno conservato spiccate individualità.

La gita escursionistica di oggi, non era stata programmata proprio qui nel cuore delle Orobie, ma nel piccolo Canyon della Val Scura, che si trova in una delle ridenti vallate del Trentino, ma per le avverse condizioni atmosferiche dei giorni scorsi, con piogge e temporali che hanno interessato tutta la penisola, provocando gravi disagi non solo alla circolazione stradale, ma  e soprattutto alle località di montagna, provocando frane e allagamenti.

Per questo motivo, l’organizzazione del CAI di Mantova, ha ritenuto opportuno spostare l’itinerario a Valminore di Scalve, proprio nel cuore delle Orobie, perché il torrente che solca il piccolo Canyon della Val Scura non é guadabile e quindi reso pericoloso  delle abbondanti piogge.

Questa mattina, il cielo della Val Padana si presenta apparentemente sereno, c’era qualche  piccola massa di nuvole cirriformi che oscurava parzialmente il sole, ma con  il  progredire del giorno e con essa del sole, la giornata si presentava quantomeno bella e senza pioggia. Dalle ampie pacate cadenze della pianura s'innalza l’estro arioso dei colli, dispiegati negli anfiteatri moreniche.  Dopo l'attraversamento della lunga galleria che annulla  la pacatezze della valle Padana, Improvvisamente, ci siamo accorti di essere entrati in un altro mondo, dove il Lago d’Iseo ha una bellezza tutta sua, pensosa e romantica, dove  una lunga catena montuosa si andava delineando all’orizzonte, circondata dalla quiete malinconica del lago. Il  paesaggio era completamente cambiato. Un grande scrittore, che non ricordo chi fosse, così scriveva: “Il Garda ti rapisce e quasi ti annulla nel dominio della sua sovrana bellezza; il lago d’Iseo ti accoglie, nei più vicini richiami delle sue rive, un’intimità di aspetti che assumono il colore e la poesia della tua anima”. Dolce e fresco come un’egloga virgiliana, fu detto dalla Sand e, infatti, la serena, leggiadra riviera bresciana da Iseo a Morone e le spiagge romite di Montisola, scendenti nelle acque cogli ulivi propesi alla luce, allacciati dai pampani e dalle edere e certe case antiche, aperte al sole colla paesana architettura dei portici e delle logge. Mentre il torpedone procedeva ad andatura turistica, Adriana mia moglie, che osservava anch’essa il meraviglioso paesaggio del lago, ad un certo punto, mi ha detto: “ Diego, non ti sembra che questi luoghi stupendi recano alle nostalgie del cuore il senso di una pace che sembra di altri tempi”? Si, é vero, ella aveva ragione nel pensare tutto questo.

Proseguendo sul litorale, ci siamo accorti che sopra Morone le montagne si adergono con uno slancio maestoso di linee e l’egloga si muta in una poesia austera di nude cime, assorte nel cielo in vigile silenzio. In quel momento, il mio  pensavo era rivolto alle montagne della Valle di Scalve, che fra non molto ci avrebbero accolte, si, perché noi eravamo diretti proprio lì, fra montagne e cielo in quell’anfiteatro di bellezza.

Nel centro delle acque é l’isola più grande dei laghi italiani, dispiegata in ubertosi declivi a contemplare la cangiante visione del lago. Sopra un certo poggio, ho notato una rocca cinquecentesca illuminata dai primi  raggi del sole; sulla cima una mistica chiesetta bianca, come perduta nell’azzurro.

Questi del lago, sono luoghi d’incanto, luoghi  di bellezza, anche se negli ultimi anni il turismo di massa ha scoperto le rive di questo bacino, che si sono affollate di alberghi, ristoranti e campeggi, il Lago d’Iseo ha conservato un’atmosfera di silenzioso raccoglimento che trova la sua migliore espressione, appunto, a Monte Isola, che come abbiamo detto, é la più estesa isola lacustre italiana, che domina quasi intera la prospettiva del lago. Dolce e selvaggia, alterna pulite insenature e dorsali boscose o ricoperte di ulivi; il suo porto é peschiera Maraglio, una sequenza di case pittoresche allineate di fronte all’acqua.

La Valcamonica ascende dagli ulivi del Sabino fino ai valichi eccelsi del Tonale e del Gavia. Si apre oltre la sponda settentrionale del Lago d’Iseo, addentrandosi fra le montagne alpine per molti chilometri. Vi é un angolo, in questa valle, in cui si respira un’aria di mistero e di suggestione sacrale: é il Parco Nazionale Incisioni Rupestri, un’area che in passato abbiamo visitato e che é di oltre trenta ettari, su cui si accede da Capo di Ponte, dove si trovano numerose rocce levigate dai ghiacciai con migliaia di incisioni dei Camuni, il popolo vissuto nella valle 25 secoli prima di Cristo. Circa un centinaio di queste rocce sono visibili in località Naquane, ove la “grande roccia” omonima, con circa 880 figure, per lo più incise nella tarda età del bronzo e in quella del ferro. Nella loro varietà di soggetti tratti dalla vita quotidiana - la caccia, l’aratura, la semina, il pascolo, le cerimonie funebri, la preghiera, l’amore - queste incisioni rupestri sono una delle più preziose testimonianze della civiltà alpina.


        La natura al lavoro.

A pochi chilometri dal Lago d’Iseo é possibile osservare la spettacolarità dei fenomeni erosivi tuttora in atto. Le piramidi di terra di Zone ( pinnacoli aguzzi di tenero materiale morenico sormontati da blocchi di pietra) rivelano il contenuto lavorio delle acque superficiali. L’orrido di Scalve, profondamente inciso nei secoli dal Dezzo, si prolunga per chilometri nel cuore delle Orobie, ed é percorso a mezza costa da un’ardita carrozzabile che ricalca il tracciato di un’antica strada che per la sua particolarità era detta “ Via mala del Dezzo”. Una strada appunto scavata nella roccia verticale del canyon del fiume Dezzo di meravigliosa bellezza. Ormai la vecchia strada é aggirata da un recente lungo tunnel, lasciando buona parte del tracciato che corre lungo l’orrido del canyon che é stretta fra  le sponde  del fiume. Lungo questa strada, si può ammirare la bellezza di questo canyon ricco di cascate, fontane e cascatelle che impreziosiscono quel luogo cupo e selvaggio.

La Valle di Scalve.

Cosa é la Val di Scalve? É una  vallata nota per la ricchezza mineraria del sottosuolo fin dagli antichi romani che insediarono i primi nuclei abitati, dando poi origine ali attuali Comuni: Azzone é il più antico (970). I centri più importanti della valle sono: Vilminore e Schilpario.

Vilminore é l’antico Vilus Minor, centro politico ed economico della valle che ha ben conservato alcuni edifici di interesse storico ed artistico quali il palazzo Pretorio e la Parrocchia; Schilpario é da qualche decennio un centro  turistico invernale ed estivo.

La valle di Scalve é la più piccola fra le grandi valli bergamasche (Brembana e Seriana). I monti che la circondano sono di media altezza (2300 - 2600 mt. Circa) e la massima elevazione é raggiunta dal Monte Gleno mt. 2491. Numerosi sono i laghetti alpini e vaste le abetaie, e mentre per la fauna si annota una folta presenza di caprioli, del gallo forcello, della pernice bianca e sotto le pareti della Presolana, di un nido stabile dell'aquila reale.

La valle di Scalve, incuneata fra la valle Camonica e le Orobie, é attraversata dal fiume Dezzo, l’ultimo grande fiume sulla destra dell’Oglio prima che questo si rovesci nel lago d’Iseo.

Dopo questa breve presentazione di  questi luoghi bellissimi, diremo che siamo giunti in un ambiente dove é la ricerca di qualcosa di nuovo, dove ognuno di noi  deve “ aprire il cuore e gli occhi alla natura, per ritrovare insieme la montagna”.

Sulla piccola piazzetta di Vilminore, dove si é fermato il nostro torpedone, siamo stati accolti da Lino Giudici, presidente del CAI di Viminore di Scalve, che ci ha portato il saluto di quella comunità montana. Subito dopo  di aver sorbito un buon caffè caldo, siamo ripartiti per raggiungere la frazione di Nona.

 Sempre accompagnati dall’amico Lino Giudici, e raggiunto il paesino di Nona: un grumo di case, costruite di legno e di pietra, dove abitano gli ex minatori, pastori e contadini della montagna. Questo borgo montano, é ultima frazione  di Vilminore,  che sorge  a quota 1341, che é  la base di partenza  degli escursionisti.  Lasciato il pullman, come succede tutte le volte, si sono costituite due squadre: la prima squadra, condotta da Lino di Mauro, e costituita dai giovani che lasciato il sentiero 408 a mezza costa fino alla “ Casa Rosa della miniera, hanno poi proseguito in direzione N/ NE con segnavia mt. 409 sui creste e costoni prativi fino a raggiungere le croci dell’antecima  e  la cima del Monte Sasna  fino a raggiungere la quota di 2229 metri che si innalza per 800/ 1000 metri sulle valli di Bondione e Seriana. Da dove si gode un meraviglioso panorama sui grandi monti delle Orobie .  La seconda squadra, diretta da Sandro Zanellini, e composta da sette escursionisti, di cui facevamo parte io e mia moglie Adriana, abbiamo percorso una strada forestale, che sale il fondovalle della valle Nembo fino alla “ Casa Rossa della miniera”.   A questo punto, ci siamo portati sul versante opposto della valle imboccando una comoda mulattiera che gira a mezza costa, ben visibile, al limite della zona prativa con gli arbusti, fino al passo della Manina, raggiungendo la quota di 1800 metri. Al culmine di quel costone prativo e privo di alberi, dove c’è lo spartiacque con la Val Seriana, dove sorge in area e suggestiva posizione  una chiesetta “ bifronte”, ciò vuol dire, che oltre ad avere due fronti, all’interno vi sono anche due altari: uno che guarda verso Nona, mentre l’altro verso Bondioni - Seriana. Alle ore 12 circa, abbiamo raggiunto la nostra meta, appunto la chiesetta “bifronte”, dove abbiamo sostato per il nostro spuntino. Non é stata una escursione molto impegnativa e faticosa. Come si suol dire, é stata una bellissima passeggiata distensiva in un paesaggio bellissimo, circondato da cime superbe ed imbiancate di neve. Quando abbiamo raggiunto la chiesetta, ho detta ad Adriana, che aveva paura di non farcela a salire fin lassù:  Sei stata bravissima, e per questo ti meriti un bacino. Si vedeva che era felice e, quella felicità, si sprigionava da ogni parte.

Nel ritorno, abbiamo percorso un altro sentiero: un sentiero ancora in parte ricoperto di neve gelata, che scoprono i primi crocus mentre il sole, a poco a poco, scioglie l’ultima neve caduta nei  giorni scorsi, mentre le pietre gocciolando, inumidisce il prato dando forza alle timide primule. Più in basso, infuocate lame di luce penetrano nella foresta e le gocce che rivestono i prati d’un manto d’argento s’involano creando magiche atmosfere. Questo é un verde  diverso da quello che noi siamo abituati a vedere nella Val Padana.

Percorrendo, passo dopo passo, questi sentieri, ti accorgi che tutta la foresta é invasa da raggi solari che penetrano nel buio sottobosco avvertono gli ungulati dell’imminente nuova stagione. Si, perché qui, in questa valle quasi sperduta fra le alte montagne coperte di neve, la primavera viene dopo che da noi. Infatti, le piante antropiche, come il ciliegio, il melo ed il pero, stando fiorendo proprio ora. Gli uccelli, con i loro canti, annunciano l’evolversi della grande stella e la foresta si riveste di richiami e di brusii. Le gemme colonizzano felici i rami e, mentre i prati risplendono d’un verde smeraldino. Prima di scoprire  questa difficilissima arte dello scrivere,  mi dilettavo a dipingere e lo faccio tuttora, ma non sono mai stato capace di imitare il colore verde di questi prati. Solo l’amico Isaia Colombo,  riusciva benissimo ad imitare  il verde di questi prati. Tutte le volte che guardo i suoi quadri dipinti in Val Sassina, mi convinco sempre di più.

L’acqua sonnolenta s’avvia attraversando innumerevoli crinali e, incontrando alberi caduti, giunge al culmine della vita, lasciando testimonianze a chi, attento scrutatore delle meraviglie naturali, coglie nel più piccolo evento. Le nebbie mattutine che avvolgono il manto silvano, evaporano trasfigurando gli abitatori del bosco che, immoti, assistono all’evolversi della vita. Un merlo acquaiolo conferma la purezza di questi limpidi rivi, cascatelle e ruscelletti, che nascondendosi tra i muschi della grande cascata in attesa della campagna. Durante  il nostro percorso, imitando il merlo acquaiolo, ci siamo più volte dissetati.

Saettanti  gheppi s’immergono nella valle mentre il vento, giocando con loro, trasporta sulla giogaia nubi che, inghiottendo le alte abetaie, avvertono l’arrivo del temporale, ma per fortuna il temporale non c’è stato, mentre alle porte del villaggio  di Pezzolo, una famiglia di asinelli e puledri, pascolavano l’erba fresca del prato.

POZZOLO

Il nostro pullman era fermo nel piccolo villaggio di Pozzolo. Nell’attesa che giungessero i nostri amici escursionisti del primo gruppo, ci siamo concessi un po' di svago: abbiamo visitato  questo piccolo centro montano. Girando per il borgo, ci siamo fermati davanti alla chiesa parrocchiale, dove abbiamo visto  la lapide dei caduti della Grande Guerra Mondiale. Scorrendo i nomi uno ad uno, incisi su quella piccola lapide bianca, abbiamo  constatato, che  avevano lo stesso cognome . Ciò vuol dire, come successivamente ci é stato confermato dal falegname - scultore, con il quale ci siamo fermati a conversare. Egli, come pure la sua signora, erano molto cordiali e si sono intrattenuti  molto volentieri con noi. Fra l’altro, ci hanno confermato che “gli abitanti all’origine, appartenevano allo stesso ceppo familiare”.

 Infatti, la storia della Valle di Scalve, ci racconta che, per le ricchezze celate nel suo sottosuolo, fu considerata con grande interesse dai Romani; in seguito subì diverse denominazioni ma riuscì sempre ad ottenere e farsi confermare esenzioni e privilegi, che permisero  alla Comunità locale di godere di una certa autonomia.

A partire dall’epoca preistorica, gli abitatori della Valle giunsero qui ad ondate successive, in parte allontanando ed in parte assimilando le popolazioni preesistenti: in questo modo costruirono un gruppo coevo e ben differenziato dagli abitanti della vicina pianura, con i quali intrattenevano rapporti commerciali.

Nel corso dei secoli i primi, semplici, insediamenti si svilupparono in nuclei abitati più complessi, dando origine agli attuali quattro comuni.

LA FAUNA

I pascoli, ricchi  e umidi, tipici dei versanti  silicei, hanno favorito, insieme agli ampi spazi disponibili, l’insediamento, oltre che dei piccoli  mammiferi, anche dei grossi cervi della famiglia dei ruminanti degli artiodattili: i maschi hanno come caduche, ossee  e ramificati ; vi appartengono il cervo , il capriolo, la renna. Le quote piuttosto elevate e le copiose precipitazioni nevose, hanno favorito anche l’insediamento e la sopravvivenza di quelle specie tipiche dell’ambiente nordico: gallo forcello, pernice bianca e le lepre variabile. I versanti a sud calcarei e quindi poveri d’acqua e con pareti ripide e invivibili, risultano scarsamente abitati, nelle parti alte. La fauna che si può osservare é concentrata negli sfasciumi basali, ormai coperti da folti boschi. In questa zona, fra gli altri, trova il suo regno e rifugio il capriolo, simpatico ungulato in crescita numerica. Le pareti impervie della Presolana sono divenute, proseguendo un percorso mai interrotto nel tempo, l’abitazione stabile dell’aquila reale.

Vilminore di Scalve.

Dopo la visita al piccolo borgo di Azzone, la comitiva al completo dei “ caini mantovani”, era attesa al Vilminore da Lino Giudice, presidente della locale sede del  CAI ed ex sindaco di quel  Comune montano.  Vilminore é un bel paese, quasi al principio della valle. E’ l’antico Vicus Minor romano, centro politico ed economico della valle. Sorge a 1080 metri di altezza e possiede edifici di grande interesse storico ed artistico, quali il Palazzo Pretorio e la Pieve di Scalve. Plani metricamente la Valle di Scalve ha una forma alquanto strana che può essere paragonata a quella di un albero tozzo, dal tronco robusto e dalla chioma ampia. La stessa cosa non possa dirsi del Palazzo Pretorio, sede del Comune e della Sezione del Cai. Se si dovesse dipingere il ritratto del Palazzo Pretorio in Vilminore non potrebbe che essere tracciato  che sulla tela della storia scalvina, la cui trama fu tessuta per almeno un millennio da una singolare organizzazione economica da far attribuire alla Valle di Scalve l’appellativo di “ Repubblica”.

L’antica “ Vallis Secia” ( Valle del Dezzo, dal nome del principale fiume che vi scorre) celebre per il  ferro sceltissimo scavato dalle sue  miniere fin dal tempo dei Romani, pur subendo l’inevitabile influenza dei principali fatti storici che riguardarono l’Italia settentrionale - come le invasioni barbariche avvenute al termine dell’Impero Romano, l’avvento di Carlo Magno, l’annessione alla Repubblica Veneta ed al dominio napoleonico - mantenne dagli albori dell’attuale millennio sino al termine del secolo XVIII una peculiare struttura economica e sociale basata sull’aggregazione delle principali famiglie del luogo, le Vicinie.

Ciascuna Vicinia possedeva quelli che sono grosso modo oggi i territori dei quattro Comuni della Valle di Scalve - Azzone, Colere, Schilpario e Vilminore, - avendo acquistato nel 1231 il feudo di Scalve dalla famiglia Capitani che lo aveva a sua volta ricevuto dal Vescovo di Bergamo. Pur essendosi dotati di particolareggiati Statuti che regolavano i rapporti tra i membri di ciascuna Vicinia e le Vicinie componenti la comunità Grande di Scalve, gli scalvini aderirono alla consuetudine di nominare un rappresentante della giustizia chiamato “ da fuori” e scelto generalmente tra i membri delle più influenti famiglie bergamasche.

Leggiamo in un opuscolo, che il Palazzo Pretorio risale all’anno 1563: la Comunità di Scalve acquistò dalla famiglia Capitanio, dove al pian terreno, come abbiamo potuto constatare, sorgono le vecchie prigioni - ottimamente conservate - che sono un eloquente esempio della severità con la quale veniva amministrata la giustizia.

Le  celle, anzi la cella, quella che noi abbiamo visitato, é interamente foderata con spesse travi in larice, fermate da spranghe in ferro ed enormi chiodi. La luce filtra da una finestra chiusa da doppie inferriate che hanno intrecci orizzontali e verticali tali da togliere al prigioniero qualsiasi velleità di fuga.

L’inferriata esterna presenta a sinistra una piccola apertura ed un incavo nello stipite in pietra grazie al quale il carceriere poteva introdurre la ciotola con il cibo; il  prigioniero ritirava il pasto da un’analoga apertura posta a destra dell’inferriata interna e grazie a questo marchingegno veniva esclusa la possibilità che tra i due si potesse essere anche il minimo contatto. Quelle si, che erano veramente delle prigioni, altro che quelle di oggi. Ogni epoca ha il suo periodo storico - economico - sociale contraddistinto da particolari avvenimenti, la nostra ha il privilegio di essere  l’epoca dell’era moderna, con la sua democrazia e la sua civiltà che si é faticosamente conquistata nel corso dei tempi.

Nella facciata principale del palazzo si possono tuttora osservare, come abbiamo fatto noi, altri due severi simboli della giustizia veneta: il primo é l’anello al quale venivano fissate le catene della berlina, dove il prigioniero incatenato poteva essere schernito da ogni passante, mentre una tetra epigrafe é scolpita sulla lapide in pietà infissa sopra una mensola “SISTE VIATOR LEGE ET DISCE FUNEST. RUM CAPITA REPONUBTUR” , che tradotta in italiano, significa: “ Fermati viandante, leggi ed impara, sopra questa pietra venivano deposte le teste dei banditi”,

La vecchia prigione fu in seguito adibita a deposito del Monte di Pietà istituito nell’anno 1602 del celebre medico Gregorio Morelli, che visse a Viminore dopo aver esercitato la professione anche presso la corte imperiale di Vienna.

Le finestrelle delle nuove prigioni danno sull’atrio d’entrata al Palazzo dal quale per una scala in pietra si accede allo stupendo salone delle udienze ultimato al termine del XVI secolo, nel quale Lino Giudici, ci ha ricevuti e nel accomiatarsi,   ha consegnato ad ognuno di noi una cartella contenente accenni storici del paese e della magnifica Valle.

Prima di  uscire da quella magnifica sala Consiliare, Adriana, mi ha fatto notare l’imponente  camino in pietra di Sarnico che troneggia sul fondo del salone e che presenta sull’architrave la scritta “ Syllano Licino Juriscons ( ultus) preatore - 1594” essendo dedicato al celebre giurista bergamasco che emanò la legge, tuttora in vigore, sulla proprietà del ceduo boschivo, decretando tra l’altro che il legname caduto sul terreno può essere raccolto da chiunque. Praticamente, é la stessa cosa che  capitò qui a Campitello, con la  Valle, della quale tutti ne siamo proprietari dopo dieci anni di residenza.

 

 

 

 

 

IL MUSEO FAUNISTICO.

Prima della visita al Palazzo Pretorio, la comitiva del Cai di Mantova, ha visitato il ricco Museo faunistico che, in questi ultimi anni di apertura, ha raccolto innumerevoli consensi ed ha registrato una considerevole presenza di visitatori, comprese numerose scolaresche.

Il museo occupa tre locali: nel primo, seguendo il percorso di visita, sono presenti la fauna tipica alpina e la stanziale che popolano la Valle di Scalve collocate in diorami che rappresentano le quattro stagioni; nel secondo é visibile la piccola fauna alpina e migratoria e nel terzo, a conclusione della visita, si possono ammirare gli anatidi europei.

LA CHIESA PARROCCHIALE.

 Per concludere la nostra visita in questo simpatico paese di montagna, mancava qualcosa, mancava la bellissima  chiesa parrocchiale. E’ un edificio veramente imponente, ideato e costruito dai maestri comacini della Val d’Intervi con contrafforti all’esterno e  secondo una solenne scansione dei ritmi all’interno. I lavori ebbero inizio nel 1694 e terminati nel  1702, consacrata il 29 agosto 1874 per mano del Vescovo Pier Luigi Speranza che la dedicò a S. Maria Assunta e a s. Pietro.

La facciata é a due ordini raccordati con modiglioni ed ha un bellissimo portale con colonne cui sovrasta una madonna dei Calegrari di Brescia. (‘700).

Abbiamo saputo che un buon numero delle tele e degli affreschi di cui é ricca si deve ad Enrico Albrici nativo di Vilminore. La pala centrale raffigurante l’Assunzione di Maria é di Giovanni Raggi, al quale sono anche attribuite le tre tele della volta.

Altri importanti dipinti su tela sono stati eseguiti dai pittori Francesco Cappella, Domenico Carpinoni, Antonio Paglia ecc. Sono presenti altri pregevoli manufatti lapidei come l’altare maggiore, che é fantoniano, l’altare di S. Caterina d’Alessandria: manufatti lignei come il pulpito (  intagliato nel 1611 per la pieve dal luganese Domenico Colomba e completato nel 1671 con le sette statuette scolpite da Carlo Ramus), il ricco capocielo, disegnato da D. Giovanni Albrici.

 La nostra giornata escursionistica in Val di Scalve, non poteva terminare diversamente: infatti, come scrive il poeta: “  mentre la sera cala silenziosa tra i monti. I boschi d’abeti diventino neri, l’aria ed il cielo cambiano anch’essi colore, quasi per preparare una stupenda cornice all’alpe che sta raccogliendo l’ultimo bacio del sole”.

..... Aprire il cuore  e gli occhi alla natura per ritrovare insieme la montagna.