DOVE VOLANO LE AQUILE
Una Foresta, immensa. Lunga come l’orizzonte. Mossa da abeti e faggi secolari. Estesa più dell’intera isola d’Elba. Per migliaia di ettari si allarga dalle asperità del Mugello al Casentino, raggiungendo il passo dei Mandrioli e i monti di Bagno di Romagna. E tiene stretta la Toscana di Arezzo e Firenze alla Romagna di Forlì e Cesena. Adagiata sulle montagne ci appare come un mare di alberi che dal Monte Falterona, dove nasce l’Arno, al Falco ( vetta di questo tratto di Appennino con 1658 metri d’altezza) e fino giù al Monte Penna, nei pressi del santuario della Verna, tinge di verde uno dei crinali meglio conservati del Paese.
Questi sono luoghi meravigliosi, creati dalla Madre natura in milioni di anni, ma questa terra é anche culla della religiosità ( Da S. Francesco a San Romualdo) e della cultura italiana del Rinascimento ( vi sono nati Giotto, Leonardo e Michelangelo).
Man mano che proseguiamo sull’Autostrada A/14, Cattolica - Bologna, sulla nostra sinistra, scorgiamo gli alti rilievi dell’Appennino Tosco - Emiliano, che degradano dolcemente fino alla tormentata Riviera Adriatica, dove abbiamo trascorso, come tutti gli anni di questi tempi, le nostra vacanze estive. Vedendo quelle bellissime colline, punteggiate da svettanti cipressi, ulivi e vigneti, e poi, più in alto ,ci sono le montagne così armoniose, che ci ricordano le nostre escursioni nel Casentino, con la scoperta dell’Eramo di Camaldoli. Qualcuno potrebbe dire, reminiscenze del passato, noi diremo semplici ricordi che sono rimasti impressi nel nostro animo e che difficilmente possono cancellarsi, perché fanno parte della nostra vita e del fardello delle nostre conoscenze acquisite nel tempo, percorrendo i sentieri contrassegnati con il simbolo bianco - rosso del CAI.
Qualcuno ha scritto, che fra le pieghe del territorio montuoso della penisola italiana sono racchiusi molti tesori, “ .....baluardi di tenaci residui sopravvissuti alla disfatta di un’epoca e duri a morire”, che testimoniano della civiltà montana, della sua storia e della sua cultura oggi in gran parte relegata nelle biblioteche e nei vari musei della civiltà contadina. Quest’attività escursionistica, da non pochi ritenuta d'élite, contraddistingue il nostro modo di essere uomini del CAI, che nella sua ultra centennale esistenza ha cercato non soltanto di sostenere l’attività ludica, ma si é impegnato per fare in modo che venissero soddisfatte le esigenze delle popolazioni residenti, curando i vecchi sentieri e resi agibili all’escursionismo del nostro tempo.
Ritornando indietro nel tempo, il nostro ricordo ci porta alla magnifica e storica città di Arezzo. Dopo di aver visitato questa città , con edifici e monumenti romanici, gotici e rinascimentali ( pieve romanica di S. Maria delle Grazie), con le famose opere pittoriche di Piero della Francesca ( La leggenda della Croce nella chiesa di S. Francesco) e del Signorelli. Il Museo d’Arte Medievale e la Pinacoteca . Nelle ore pomeridiane, di una giornata splendida di settembre, abbiamo risalito la Val di Chiana, chiusa tra l’Appennino Tosco - Emiliano ed i rilievi dell’Antiappennino Toscano, che é attraversato dal corso superiore dell’Arno e del Tevere , abbiamo raggiunto il Castello di Poppi, dove sorge i Palazzo duecentesco dei Conti Guidi, che domina la piana dove fu combattuta la battaglia di Campaldino. Nella sala della Biblioteca Storica Rilliana, vi sono ( oltre 70.000 volumi, 600 incunaboli e 800 antichi manoscritti), inoltre c’è un plastico che ricostruisce lo scontro. Abbiamo cenato nella grande scuderia, oggi trasformata in sala da pranzo, mentre abbiamo pernottato, non nell’interno del Castello, ma nei locali che costituivano gli alloggiamenti del personale. Questi locali, sono stati accuratamente restaurati, e appunto, trasformati in albergo di seconda categoria. Nelle prime ore del mattino, abbiamo lasciato il borgo antico di Poppi ed abbiamo raggiunto l’Eramo e il monastero di Camaldoli.
Il complesso monastico di Camaldoli
Questa località, dove sorge il complesso monastico di Camaldoli, si trova nel cuore delle Foresta Casentinesi. Questo é il sito su cui Romualdo fondò il Monastero e il sacro Eramo, che fu donato da un nobile feudatario di Arezzo. Nel 1113 Papa Pasquale li annesse a Camaldoli gli altri erami ed i cenobi già fondati dal Santo dando luogo ad una congregazione eremitica di cui Camaldoli divenne il centro principale. L’attività dei monaci del Monastero e del sacro Eremo é sempre stata legata a due aspetti fondamentali, quello contemplativo e quello attivo diviso in culturale e manuale : Si deve ai monaci la preziosissima opera di libri e la pratica della silvicoltura che é stata tramandata fino ai nostri tempi e che é servita a preservare la splendida foresta casentinese.
Quest’escursione, ci ha consentito di poter visitare scendendo dal crinale, il Sacro Eramo che é completamente circondato da mura. E’ possibile visitare una cella di clausura per rendersi conto di come é organizzata la vita all’interno del Sacro Eramo, dove ogni monaco dispone di una propria casetta con ingresso, legnaia, camera da letto, studio e un piccolo orticello, il tutto circondato da muri. D’obbligo la visita all’antica farmacia del Monastero ( che risale al 1543), con contenitori in ceramica proveniente dalle botteghe faentine dove si trovavano elisir, balsami ed unguenti a base di erbe distillate dai monaci.
Molto spesso, in montagna, la rete viabile si formava sulle tracce che gli animali che lasciavano durante il loro passaggio e veniva censita con la terminologia di “ viabilità minore”. I cambiamenti che si sono verificati in montagna in quest’ultimo cinquantennio hanno fatto perdere gran parte di questi percorsi originari, sentieri e mulattiere che prima dell’avvento dell’automobile rappresentavano l’unico mezzo per portarsi da una zona all’altra del territorio italiano ed é per questo che il viandante de terzo millennio, nel ripercorrere questi itinerari, può imbattersi in segni e testimonianze che sono in grado, ancora oggi, di “ raccontare” della vita degli abitanti dell’Alpe e degli Appennini, della loro operatività e della loro religiosità. Oltre a questi sentieri, abbiamo percorso tratti di quella che nel Medioevo, venne chiamata la Frangigena: una strada mulattiera, che partiva da Canterbuy, attraversava la Spagna e la Francia, per poi giungere a Roma o a Gerusalemme. Alcuni l’hanno chiamata anche Romea, perché portava i pellegrini nei luoghi santi. Il nome “ Frangigena, non siamo in grado di spiegare la sua derivazione: Si chiama così, forse, perché attraversava la Francia e da qui il nome di Frangigena. Durante questo percorso in Toscana, sono nate molte cittadine, che oggi sono diventate città o grossi paesi, erano appunto chiamate anche figlie della Frangigena. Originariamente erano i luoghi di sosta per i pellegrini, dove erano sorti alberghi, ospizi, ospedali, conventi, chiese e luoghi per la ristorazione dei pellegrini che giungevano da oltre Alpe.
Il Convento de La Verna.
Il Convento de La Verna é posto a m.1128, sullo sperone roccioso che fa da spartiacque fra l’Arno ed il Tevere, in una posizione panoramica eccezionale. Il Monte de La Verna fu donato dal conte Orlando Catani a Francesco nel 1213 dopo un incontro avvenuto nel castello di San Leo nel Montefeltro. Il Conte rimase colpito dalla grande spiritualità del frate e volle che alcuni fratelli dell’ordine si stabilissero a La Verna. L’anno seguente Francesco si recò sul monte per la prima volta e successivamente vi ritornò più volte fino al 1224, l’anno in cui ricevette le stimmate. Era la sua meta preferita, Francesco a La Verna per trovarsi più vicino a Dio ed in questo luogo di pace e solitudine pregava e faceva penitenza nella povertà più estrema ed in completa meditazione.
Attualmente il complesso monastico che si articola in una serie di edifici e di chiese costruite durante un lungo arco di tempo é situato in un piccolo altipiano, riparato dai venti settentrionali, al di sopra delle rocce strapiombanti verso la Breccia. La stradina lastricata si inerpica sulla montagna passando dalla cappella degli uccelli, che ricorda la prima venuta di Francesco, ed entra nel Convento attraverso una porta sormontata da un arco a sesto ribassato che immette nella piccola chiesa di santa Maria degli Angeli, la prima costruita nel 1216 e ampliata nel 1250/60 che conserva alcune opere della scuola di Andrea della Robbia.
Infine la basilica di Santa Maria Assunta o chiesa maggiore costruita fra il 1348 ed il 1509 che ospita capolavori di Andrea della Robbia e l’organo monumentale che risale al 1586. Il complesso monastico comprende una foresteria interna, una sala per le conferenze, un’antica biblioteca e un museo che attualmente in fase di sistemazione e riordino. Questi luoghi di meditazione e di pace, oggi sono stati scoperti anche dalle organizzazioni politiche, dove svolgono i loro convegni e dove si fanno nuove alleanze politiche.
Di inerme interesse sono le foreste di Sasso Fratino e della Pietra, le due riserve integrali dell’area protetta che assommano circa 900 ettari di bosco antico, con alberi secolari e angoli di foresta mai manomessi negli ultimi decenni. Sotto la linea altimetrica degli 800 metri, invece, i boschi di latifoglie sono più vari e persistenti. Troviamo il cerro, la roverella, il carpino bianco, il carpino nero, l’acero campestre, il castagno e in forma sporadica, tigli e rovere.
Un’altra caratteristica delle foreste Casentinesi é costituita dalla presenza di numerosi patriarchi vegetali, i giganti della foresta che indisturbati da secoli allignano qui le loro radici. Alcuni sono noti: come il castagno Miraglia di circa 500 anni o i “ guardiani della Verna”, due faggi di 400 anni che vigilano sulla strada che sale al santuario francescano. Altri sono meno conosciuti, forse perché meno accessibili, come il pioppo nero di San Paolo in Alpe, alto 20 metri e vecchio di 150 anni. In tutto, come apprendiamo dalla guida locale, Sig. Luciano: un vecchio conoscitore del Parco Casentinese, nonché cacciatore e buono conoscitore di funghi e della fauna locale. Egli, ci informa che in tutto se ne contano oltre 300 ( non tenendo conto delle migliaia di abeti e faggi centenari di cui é pieno il Parco) e appartengono alle specie arboree più varie.
Oltre ai singoli alberi ci sono anche i boschi secolari. Il più raccolto é appunto questo della Averna, sul Monte Penna, che cinge il santuario francescano. In appena 186 ettari di superficie, questa foresta da otto secoli sorvegliata dai frati si é potuta rinnovare a suo piacimento. Il suo valore storico é pari a quello dei capolavori presenti nel vicino convento; difatti é considerata un monumento nazionale come il complesso francescano che abbiamo visitato in ogni parte.
Scorrendo le pagine dell’Airone, siamo venuti a conoscenza, che qui sono censite 405 specie vegetali, con fustaie miste di abeti bianchi, faggi e frassini. Vi crescono abeti giganteschi che sfiorano i 50 metri d’altezza e il diametri di 150 centimetri, faggete pure e piccoli boschi di pino nero o abetine che hanno superato i 100 anni e danno rifugio a 65 specie di uccelli, di cui ameno 19 nidificanti, e una ventina di mammiferi.
Il Cervo: Luogo di prede e predatori.
In questi boschi e sui rilievi del crinale trovano da vivere alcuni dei più grandi erbivori di casa nostra. Sono presenti il cervo, il daino, il capriolo e il cinghiale. I più diffusi sono gli ultimi due, che frequentano tutta l’area del Parco. Ma se il capriolo ha sempre vissuto nelle Foreste Casentinesi, per il cinghiale é andata diversamente. Assente per secoli, é ricomparso in questo ultimo ventennio a causa dei ripopolamenti effettuati negli anni Sessanta, come ci spiega il dirigente del Parco e capo delle guardie caccia, con capi provenienti dell’Europa centrale. Sentieri, fatte, scavi e pozze di fango sono i molti segni che testimoniano la sua considerevole presenza. E’ il mammifero di grossa taglia più numeroso dell’area protetta e frequentata sia il fondovalle sia lo spartiacque appenninico.
Parlando del cervo, che é considerato il dio della foresta, una vecchia leggenda dice che: Per “ rubare” la vigoria fisica gli antichi Greci indossavano le sue pelli durante i riti di Dionisio., Mentre i Celti lo indossavano sotto le sembianze di Cernunno, il dio dell’abbondanza con le grandi corna, e portavano i suoi talismani ( corna, denti, peli, droghe ricavate con sangue, midollo, grasso dell’animale mescolati con erbe) per affrontare le mille difficoltà della vita. Per taluni antichi scrittori cristiani, invece, il cervo rappresentava l’immagine di Cristo che schiaccia sotto i piedi la testa del serpente, simbolo della potenza infernale. Sono solo tre esempi, ma sufficienti per testimoniare il ruolo che quest’animale rappresenta nel nostro immaginario.
Non sempre questo ruolo lo ha salvato. Se in passato fu considerato un dio, fino all’altro ieri é stato solo un ambito trofeo per ogni cacciatore. E non é un caso che all’inizio dell’Ottocento nelle Foreste Casentinesi era praticamente scomparso. Si deve all’intelligenza di Carlo Siemoni, il naturalista boemo a cui fu affidata la gestione della riserva di caccia del Granduca di Toscana Leopoldo II, il rilascio dei primi esemplari a scopo di ripopolamento: era il 1835 e forse si trattò del primo intervento di reintroduzione operato in Europa. Nonostante ciò all’inizio di questo secolo, a causa dell’intenso bracconaggio e del taglio indiscriminato dei boschi, di siffatti erbivori se ne contavano appena una trentina destinati a scendere a poche unità all’indomani della seconda guerra mondiale. Nuovi immissioni di cervi si sono avute negli anni Cinquanta e Sessanta quando 11 animali furono liberati dall’Azienda di stato per le foreste demaniali.
Oggi fortunatamente le cose sono cambiate in meglio. Negli ultimi dieci anni, in seguito al maggior controllo ambientale, il cervide ha conosciuto un sensibile aumento di popolazione. Nel Parco sono presenti 300 - 400 capi sul versante, romagnolo e 600 - 700 su quello toscano, dove si contano almeno 10 individui ogni cento ettari.
La Toscana, per noi del CAI di Mantova, é diventata una escursione che potremmo definirla classica, non soggetta ai mutamenti del tempo e della vita moderna. E’ come il poema della Divina Commedia, che é considerato un classico della nostra letteratura. Si, perché, arte , letteratura e natura, procedono sullo stesso livello del classicismo, che é classificato da perfetto equilibrio tematico e formale.
Klipling ha affermato che chi va in montagna o nelle città d’arte, come quelle della vecchia Toscana, “ va verso sua madre”. Con questo a significare che la montagna e i templi dell’arte classica o di altro genere, sono luoghi spirituali, luoghi che, tra l’altro, consentono di rigenerarci. Eppure nei loro riguardi l’uomo ha dimostrato un atteggiamento che, pur mutando nel corso del tempo, ha generato una graduale ma costante metamorfosi della sua natura originaria.
Ormai, nella terra di Toscana, si potrebbe dire che siamo di casa. Immancabilmente, ogni anno nel mese di settembre, quando il paesaggio assume quella caratteristica colorazione particolare; una bellezza senza pari, noi siamo lì sui vecchi sentieri o nei vicoli dei suoi caratteristici borghi antichi, per ammirare le sue bellezze naturali e artistiche. Ormai dalla Toscana, si potrebbe dire, senza tema di smentita, che conosciamo tutto o quasi tutto, ma ci ritorniamo lo stesso, perché siamo innamorati di questa terra antica e meravigliosa.
Il Casentino, la Maremma, il Chianti, l’Amiata: percorsi diversi per assimilare l’essenza di un’antica terra, dove si fondono leggenda, storia e tradizione. Itinerari diversi per sentirsi in sintonia con ciò che ci circonda: luoghi di preghiera e di pace, dove Francesco saliva a La Verna per trovarsi più vicino a Dio ed in questo luogo di pace e di solitudine pregava e faceva penitenza nella povertà più estrema ed in completa meditazione , quindi luoghi della cristianità, dell’arte , della buona tavola, dell’artigianato, e soprattutto dove troviamo quella fonte inesauribile di sorprese che é il paesaggio e la cordialità dei “ maledetti toscani”, come li ha definiti il grande scrittore Curzio Malaperte, nel suo libro La Pelle.
Cerchiamo di illustrare con poche parole queste quattro località, che abbiamo menzionato sopra:
La Maremma.
Non é più selvaggia come nell’Ottocento, ma il verde e il mare sono autentici. In più ci sono i rifugi faunistici, i paesini pittoreschi, la tradizione artigiana. Per non parlare dalla cordialità dei toscani e della gastronomia, che non guasta mai.
L’Amiata.
E’ una montagna incantata, dove una volta si celebravano i magici riti etruschi. Oggi, vi si possono celebrare i riti dell’evasione, del tempo libero , alla ricerca di un’antica serenità.
Il Chianti.
Chianti vuol dire buon vino, lo sappiamo tutti, specialmente noi montanari del CAI di Mantova. Ma può voler dire anche dormire in un castello, andarsene in giro a cavallo, cercare mobili antichi, gustare i sapori inediti di una cucina di classe. Per rimanere nel Chiantigiano, ecco il delizioso borgo di Panzano con la sua pieve di S. Leolino e poi la Badia a Coltibuno, il Castello di Brolio, la Pieve di S. Polo in Rosso, Vignamaggio, il borgo medioevale di Montefioralle ( patria di Amerigo Vespucci) il castello di Verrazzano, Vicchiomaggio, Gabbiano, Uzzano e Montefiriolfi. Qui, l’ex - arredatore milanese Giulio Baruffaldi ha restaurato un borgo medioevale e adibito ad agriturismo due case - il Balestruccio e il Fornaruzzo - nel cuore della sua fattoria. Proseguendo verso Firenze, suggeriamo una digressione al Ferrone e all’impruneta, dove sorgono una infinità di fabbriche artigianali e no, dalle quali esce il celebre cotto fiorentino. Per finire, vogliamo consigliare un altro modo molto attraente per visitare il Chianti: cioè a cavallo, contrariamente di quello che facciamo noi escursionisti del CAI, che camminiamo a piedi sui sentieri della vecchia Francigena, per esempio esiste un centro specializzato dove un inglese, Jenny Bawtree, guida i cavalieri - turisti attraverso sentieri sterrati. Questo centro, si trova sulla strada che porta a Monteriggioni, sulla strada che conduce a Siena.
LA VIA FRANCIGENA.
Più volte in questo contesto, abbiamo citato la via Francigena. Qualcuno si potrebbe domandare, ma che cos’è mai questa via Francigena di cui spesso si parla? La via Francigena, come ci spiega la guida turistica del ( Touring Club Italiano) fu una strada di origine medioevale, elevata rapidamente ad una grandissima importanza nonostante, già verso lo scadere del medioevo, si fosse di molto attenuata almeno in alcuni tratti. Oggi il suo percorso toscano é più o meno fedelmente ricalcato da strade di varia categoria, dalle statali alle campestri, e in certe parti il tracciato é solo ipotizzabile.
“Va osservato che nel medioevo non é mai esistita una strada così denominata organizzata alla maniera delle vie consolari romane, legate ad un tracciato ben preciso, come le moderne autostrade. Quando nel medioevo si ricorda nei documenti una via Francigena o una via Romea, il riferimento viene fatto a strade che localmente svolgevano quella funzione, ma il tragitto per andare verso la Francia o a Roma presentava innumerevoli varianti, dettate al viaggiatore da ragioni contingenti, di ordine naturale o politico. Di fatto non vi era allora alcuna autorità che fosse in grado di stabilire e garantire un percorso vario di tale portata. Una strada medioevale non si identifica quindi con un tracciato preciso, bensì con certi punti di riferimento, come i passaggi obbligati di ostacoli naturali ( il valico ,di una catena montuosa o l’attraversamento di un fiume o luoghi di tappa (città, abbazie, ospedali), la cui esistenza é attestata dai resti materiali o dai ricordi documentari.
L’origine del tratto toscano.
“L’origine del tratto toscano della via Francigena é legato ai Longobardi che, per scendere da Pavia nella Tuscia, usarono la via “ di Monte Bardone” ( da Mons Langobardorum), cioè di quel passo che poi verrà chiamato della Cisa”. L’itinerario proseguiva verso sud lungo una direttrice che, attraverso la Lunigiana e la Versilia, rientrava verso l’interno per toccare Lucca; da questa città, superate le colline delle Cerbaie e varcato l’Arno di fronte a Fucecchio, risaliva la valle dell’Elsa per giungere a Siena, da dove percorrendo le valli dell’Arbia, dell’Orcia ed altre minori, usciva dalla Toscana per entrare nel Lazio, superando le alture di Radicofani e il monte Amiata. Si trattava di un tracciato obbligato che permetteva di tenersi a debita distanza dai confini dell’Esarcato, in mano ai Bizantini, così come di stare il più possibile lontano dalla costa, che questi ultimi potevano controllare via mare.
L’itinerario divenne più funzionale dopo che i Longobardi poterono controllare stabilmente la Liguria e la Lunigiana, cosicché cominciarono a sorgere lungo di esso abbazie ed ospizi per viandanti, frequentati da pellegrini che divennero via via sempre più numerosi, soprattutto dopo il Mille quando, con il rinnovarsi della spiritualità, si diffuse maggiormente la pratica di recarsi a Roma, a Gerusalemme o a Compostela. Si consolidò così, l’uso di questo tracciato che divenne, almeno fino al Duecento, il più importante per raggiungere Roma.
Il percorso della via Francigena sulla destra dell’Elsa.
Alcuni anni fa, la città di Siena, ha invitato alcuni gruppi del CAI della Lombardia, del Piemonte e della Liguria, per partecipare all’escursione sulla vecchia Francigena, partendo dalla località di Badia Isola, sita in Val dell’Elsa, che dista una a trentina di chilometri da Siena .
In quell’escursione, con il Gruppo Cai di Mantova, partecipammo anche noi, cioè, io e Adriana mia moglie ed un nutrito gruppo del Cai di Mantova. Ricordo che la partenza é avvenuta proprio davanti alla chiesetta romanica di San Salvatore di Badia a Isola. Subito dopo questa località, la strada scorre in area pianeggiante al piede del colle di Monteriggioni, fondata dai senesi nel secondo decennio del Duecento e ricordato da Dante per la sua cinta muraria coronata di torri, Oltre Stomennano la strada scorre in un area boscosa che torna ad arricchirsi di abitati verso San Dalmazio. A Fontebecchi ( la fontana é un ricordo della via), ormai alle porte di Siena, gli escursionisti, ci siamo poi rincontrati nella meravigliosa Piazza, dove sorge lo stupendo Duomo in stile gotico fuori della Porta Camollia. Non solo il meraviglioso Duomo, é in stile gotico, ma tutto il volto della città assumeva e assume ancora oggi, quei caratteri gotici che ne hanno fatto una delle più celebrate mete turistiche internazionali. In questa Piazza , avvenne la premiazione di tutti i partecipanti a questa simpatica “ camminata fra le colline e i vecchi sentieri. La passione per l’escursionismo ci ha accomunato, avvicinato e reso un unico organismo escurionistico, alla ricerca della bellezza, della natura, dell’arte . Tutto questo, rafforzano l’affetto e il disinteresse e consolidano l’amicizia, fra gente di diversa estrazione sociale che prima non conoscevi.
SIENA.
A questo punto, bisogna spiegare quale fu il rapporto di Siena con l’antica strada. Tutto ciò é dimostrato anche dalla sua forma urbana e dalle dimensioni e dal prestigio della maggiore struttura “ospitaliera” cittadina: L’Ospedale di santa Maria della Scala. A differenza di altre città romane ( ad esempio Lucca o Firenze), deve l’originale impianto quadrato ad assi ortogonali é la base di partenza per lo sviluppo urbano medioevale, a Siena questo prende avvio da un nucleo abitato di altura: Castelvecchio, presso il quale si attestò la sede ospedaliera e la chiesa cattedrale. La successiva crescita della città non avvenne per anelli concentrici attorno all’elemento generatore, bensì fu causata dalla via Francigena che scorreva più in basso, lungo le direttrici delle attuali vie Montanini e del Porrione, che divennero anche gli assi dello sviluppo della città.
Fin dell’XI secolo l’antico abitato si era saldato al percorso della via Francigena presso la Croce del travaglio, dando vita a dei borghi lungo la strada, come tendenza ad espandersi maggiormente verso nord, in direzione di Camollia, quasi a voler sottolineare la forte attrazione della città verso quella parte della Toscana che fin dal primo medioevo si era dimostrata la più importante della regione. In seguito, l’espansione urbana proseguirà verso sud e sulle altre direttrici viarie afferivano alla città, in corrispondenza delle quali si apriranno le monumentali porte dell’ultimo giro di mura.
La fortuna di Siena raggiunse il culmine nei decenni tra Due e Trecento, al tempo del Governo dei Nove, quando la sua popolazione superava abbondantemente i quarantamila abitanti e il volto urbano assumeva quei caratteri gotici che ne hanno fatto una delle più celebrate città turistiche. Il volto della città di quell’epoca, camminando per le stradine, per le sue bellissime Piazze, ci appaiono con le stesse caratteristiche. Eppure, da quel lontano tempo, molte cose sono cambiate, ma la città di Siena, mantiene sempre le sue caratteristiche d’allora.
E’ una vera città d’arte, con le sue tradizioni, i suo usi e i suoi costumi. Per citarne una di queste caratteristiche, di queste tradizioni, basta vedere il “Palio dell’Assunta, che puntualmente ogni anni, si celebra con grande entusiasmo e fastosi festeggiamenti.